Con Prefazione di Livia Turco e vignette di ElleKappa e Sergio Staino.

Dalla Presentazione che ne fa il sito di cui trovate il link di seguito :https://www.strisciarossa.it/care-compagne-e-cari-compagni-tredici-storie-di-comunisti-italiani-per-raccontare-il-pci/

“…Ecco, è nel “noi” in cui si declinava il Pci quello che si ritrova tra le pagine di Care compagne, cari compagni – un affresco della storia umana del partito comunista nel centenario della sua fondazione, prodotto da strisciarossa e scritto quasi tutto da ex giornalisti dell’Unità: 13 storie di militanti del Pci. In quel noi c’erano persone e senso di appartenenza…” .

Tra queste storie ve ne è anche una napoletana a noi particolarmente cara : quella di Nino Ferraiuolo.

Napoli. Dopo il terremoto del 1980. Enrico Berlinguer visita le aree più colpite. Dopo l’Irpinia, nei mesi successivi sarà anche qui , nel Centro Storico di Napoli. Nino Ferraiuolo è il secondo alla sinistra di Berlinguer. ( Foto di Mario Riccio )

E torneremo presto a parlarne…

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Sulla bella Rivista online Ytali.com creata da Guido Moltedo che prova a vedere l’Italia e il Mondo da Venezia, compare la recensione ad opera di Nino Bertoloni Meli, storico giornalista delle cronache parlamentari del nostro paese, del lavoro di Marcello Sorgi e Mario Pendinelli QUANDO C’ERANO I COMUNISTI per i tipi di Marsilio.

Nino condivide il punto di fondo sottolineato dagli autori sulla debolezza della svolta di Occhetto per carenza di cultura politica mentre rimprovera loro di non aver sottolineato a sufficienza la vera debolezza, a suo giudizio, di quella ‘fine’ che consisteva più che nella debolezza di cultura politica nella mancata capacità di non soggiacere al potere frenante ( SIC!) della vecchia guardia che Bartoloni Mieli individua negli Ingrao, Tortorella, Natta, Iotti...Ma quando mai viene da chiedere?

Ad ogni modo la trovate qui

https://ytali.com/2020/11/16/cera-una-volta-il-pci/

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Recentissimo anche il lavoro di Ezio Mauro LA DANNAZIONE. Cronache del Congresso di Livorno che lascia intendere che ci si trovi di fronte ad una storia tutta sbagliata…

Su questo lavoro prendiamo la valutazione di Guido Liguori sulla sua pagina FB di giovedì 19 novembre, molto netta:

DANNARE LIVORNO. Ecco, anche i 100 anni della nascita del Pci non sfuggono, il nuovo libro di Ezio Mauro indica la nascita del partito comunista come la radice dei mali della sinistra italiana. In fondo è la vecchia visione naturalistica della storia: come nel seme vi è il futuro della pianta, come essa si svilupperà e che sembianze avrà in futuro, ugualmente in un evento storico, in una decisione politica, in una cultura politica vi è il futuro del partito, anche 80 o 100 anni dopo. Positivismo di ritorno. Come quelli che, “da sinistra”, ti chiedono: come mai il Pci non c’è più? Non è colpa di Berlinguer? Le scelte storico-politiche non sono determinate dal passato. La debolezza attuale della sinistra italiana non può essere capita parlando di Livorno. Ma questo Mauro non lo sa. O finge di non saperlo.”

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E allora per ricordare meglio a tutti noi cosa è stata questa storia vi suggeriamo la lettura di questo libro uscito qualche mese fa, autore Piero Ruzzante EPPURE IL VENTO SOFFIA ANCORA .Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer. Piero, all’epoca giovane dirigente della FGCI padovana, racconta quelle ore e quei giorni vissuti a Padova nel giugno del 1984 che furono gli ultimi del Segretario del PCI. E il racconto è tanto intelligente sul piano politico quanto toccante sul piano umano. No, viene da dire, il PCI non è stato un incidente della Storia. Ve ne proponiamo l’introduzione anticipata su INFINITIMONDI 15/16 2020, il nuovo.

Applausi e silenzio

“ Perché, sa, è sempre così con i ricordi, non si è mai sicuri!

Danilo Kis, Dolori precoci

Applausi e silenzio a dividersi il tempo. Il rumore della pioggia che si infrange sugli ombrelli, sul selciato, che picchietta sulle carrozzerie delle auto. Le auto sono quelle del corteo, almeno una trentina, che si mettono sulla scia del carro funebre, e quelle ferme, imprigionate in un ingorgo che ha paralizzato la zona dell’ospedale compromettendo il traffico di tutta la città. Non si sentono clacson, i motori si spengono in segno di rispetto. Mentre il feretro di Berlinguer lascia l’obitorio, avvolto in una bandiera del Pci e in una bandiera italiana sovrapposte, molti padovani sono alle prese con le cantine e i garage allagati da un temporale che non da’ tregua.

Solitamente, io queste condizioni atmosferiche, nessuno esce a piedi. E invece, dentro e fuori della cittadella dell’ospedale, sono in migliaia. Una donna si sente male e viene soccorsa. Un’altra distribuisce copie dell’Unità, con l’inchiostro sciolto dalla pioggia. Quando il serpentone di macchine imbocca via san Massimo, due ali di folla lasciano libera solo la corsia centrale della strada, dove il carro funebre passa a stento. Procediamo lentissimi. Sono nella macchina della delegazione della Fgci, la Federazione giovanile comunista italiana, la numero 24.

Non sono mai stato così coinvolto emotivamente in una vicenda pubblica, che vivo come se fosse personale, intima. E pensare che oggi dovrei festeggiare il mio ventunesimo compleanno. Mi commuovo a ogni sguardo commosso che incrocio. La stoffa umida delle bandiere non sventola, ricade pesante sulle aste. Sento nel cuore quello stesso peso. Lunghi brividi mi corrono per la schiena, nonostante il tepore della macchina. Sento freddo come se fossi sulla strada, insieme a tutti questi operai.

Vorrei alzarlo anch’io il pugno, per rispondere ai loro pugni alzati. L’unico sollievo sono i bambini che le mamme sono andate a prendere a scuola. Si vede che non sanno esattamente cosa sta succedendo, vorrebbero imitare l’espressione triste dei genitori che li tengono per mano, ma a tratti sorridono. Viviamo tutti un momento indimenticabile nella sua drammaticità. Le persone lanciano fiori, ritmano il nome di Berlinguer. E’ il grazie per quello che ha fatto per loro, per quello che ha rappresentato. Più avanti, chi è esterno prova a farsi spazio per toccare la carrozzeria che custodisce la bara. Attraverso la circonvallazione arriviamo al piazzale della Stanga, stracolma di operai della zona industriale. Ci sono quelli delle Officine meccaniche Stanga, quelli della Magrini Galileo, che Berlinguer ha incontrato all’Hotel Plaza appena arrivato a Padova, ma è impossibile contare gli striscioni delle fabbriche della città e della provincia che i lavoratori tengono sollevati, incuranti dell’acqua che gli bagna la pelle e inumidisce le ossa.

Lungo la Riviera del Brenta, la scena si ripete. La strada sembra un fiume e la gente ai lati i suoi argini, mentre le nostre auto scorrono sull’acqua che copre l’asfalto. All’altezza di Dolo entriamo in autostrada. Per qualche momento restiamo soli con Berlinguer, perché qui la gente non riesce ad arrivare. Almeno è quello che pensiamo, ma bastano poche centinaia di metri per vedere i cavalcavia sotto i quali passiamo riempirsi di bandiere rosse. Sono i lavoratori usciti dalle piccole e medie aziende della zna. Sono ancora in troppi a volerlo salutare, è impensabile andare direttamente all’aeroporto. Si decide di uscire e di attraversare prima Marghera e poi Mestre.

Siamo in una delle aree urbane più industrializzate d’Italia. Il Petrolchimico si è fermato e solo in questo complesso gli operai dono decine di migliaia. Sono tutti fuori. C’è chi è ai bordi della strada, chi sale sui ponti. Tre donne della Cgil di Padova siedono sul sedile posteriore di un’auto blu, alla guida un dirigente del sindacato e al suo fianco un altro compagno. Per sbaglio sono finiti tra le prime auto del corteo. Ha smesso di piovere, hanno i finestrini aperti. Le persone che le vedono scambiano le donne per la moglie e le figlie di Berlinguer. Rosanna, Eva e Anna sono imbarazzate, guardano dritte davanti a loro e passano dal pianto al riso, che per quanto è possibile tentano di nascondere. Ma è solo un attimo, tornano a piangere.

L’aeroporto di Tessera è assediato da migliaia di persone. Bianca Berlinguer, con negli occhi tutti quei volti  che hanno attraversato l’inquadratura del finestrino, si gira verso sua madre e si scoprono entrambe sorprese da quell’infinito mosaico di gente che le ha accompagnate fin lì. Campeggia uno striscione sulla terrazza dell’aeroporto: ADDIO ENRICO, VIVRAI NELLE NOSTRE LOTTE.

Il carro funebre, appena varcato l’ingresso, non prosegue verso il DC-9 in attesa, si ferma. I dipendenti dell’aeroporto vogliono condurvi la bara in spalla. Si forma una piccola processione. La guida Letizia Berlinguer. Le si fa incontro il Presidente Pertini, la abbraccia. Ancora qualche passo, arriva una donna, le porge un mazzo di fiori, si guardano negli occhi, si stringono le mani. Il dolore è tutto in quello sguardo, la solidarietà nel calore di quella stretta. Militari e membri delle forze dell’ordine si mettono sull’attenti. La bara scompare nella pancia dell’aereo presidenziale. Il portellone della stiva si chiude. Pertini, Letizia, gli altri familiari, i dirigenti del Pci prendono posto. Alle 19.35 decollano. Destinazione: Ciampino. Noi rimaniamo a terra, rivolgiamo gli occhi verso l’alto e seguiamo il velivolo finchè non viene inghiottito dal cielo.

Piero Ruzzante

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