Nell’ottobre 2017 Infinitimondi organizzò una Mostra fotografica dedicata al lavoro straordinario lasciato da Mario Riccio, storico fotoreporter e poi giornalista napoletano de l’Unità : le immagini di questo lavoro sono le sue.

Cosa troverete di seguito?

1 Dalla Mostra ” Con gli Occhi di Mario” promossa da Infinitimondi tra ottobre e novembre del 2017 con il patrocinio del Consiglio Regionale della Campania e del Comune cdi Napoli, Assessorato alla Cultura dedicata al rapporto tra Enrico Berlinguer e la Campania visto attraverso gli scatti di Mario Riccio. La presentazione di Rosetta D’Amelio, nel 2017 Presidente del Consiglio Regionale della Campania, all’epoca segretaria della sezione PCI di Lioni.

2 L’articolo di Rocco Di Blasi, all’epoca inviato de l’Unità che racconta quei giorni e la decisione della Direzione nazionale del PCI che a Salerno annunciò con Enrico Berlinguer, di fronte allo scandalo della totale impreparazione dello Stato, la svolta dell’Alternativa Democratica. Articolo pubblicato sul numero Infitinimondi 3/2018

3 L’articolo di Sandro Pulcrano, all’epoca Segretario della FGCI di Napoli protagonista dell’organizzazione dello straordinario movimenti di solidarietà che vide impegnato il meglio della società italiana e in modo particolare le giovani generazioni: tema quanto mai attuale di fronte alle sofferenze di questa fase della nostra vita.

4 Il video del confronto che sui temi della difesa del territorio e proprio del terremoto si tenne durante i giorni della Mostra dedicata a Mario Riccio. Il 31 ottobre 2018 Alfonso De Nardo, Pietro Greco, Valerio Calzolaio, Sergio Gentili, Fulvia Bandoli discussero di Berlinguer e della questione ecologica.

E poi Ugo Leone, Giovanni Sannino, Alessandro Pulcrano si confrontarono proprio sul terremoto e sul dopo terremoto.

Di quella discussione, al link di seguito trovate la registrazione dal canale you tube di Infinitimondi .

5 Lo speciale che l’Unità del 15 novembre 1981 dedica all’anno dopo il terremoto.

Enrico Berlinguer nelle aree del Cratere del terremoto

1 ROSETTA D’AMELIO

dal Supplemento per la Mostra Con gli occhi di Mario. Infinitimondi 2/2017

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Ancora nelle aree del Cratere con, tra gli altri, Pio La Torre

2 ROCCO DI BLASI

LA SVOLTA 2

Rocco Di Blasi*

Uno degli inviati dell’Unità nelle zone del terremoto

Arrivò a Salerno tutta la direzione del Pci. Il 28 novembre all’Hotel Raito si tenne una riunione con i dirigenti comunisti delle zone terremotate. Era una giornata fredda e piovosa. Dalle vetrate dell’albergo si vedeva l’intero golfo di Salerno squassato dai venti. 

Anche la discussione era dominata da una sorta di cupa tristezza, insolita in un dibattito politico. Ma la tragedia pesava su tutti. 

Al pomeriggio conferenza stampa di Berliguer nel salone del Comitato Federale del Pci. Un salone dove trovavano posto di regola almeno cento persone, ma che quel giorno sembrava troppo piccolo, invaso com’era dagli inviati. C’è una foto che mostra tutto lo sgomento di quegli uomini che pure ne avevano viste tante nella loro vita. Dietro ad un tavolo c’è Berliguer con il viso più scavato del solito, poi Bassolino e Reichlin, tutti e due con la faccia piegata in giù, Pio La Torre che fissa il vuoto, Gerardo Chiaromonte assorto nei suoi appunti, Andrea Geremicca con la fronte aggrondata. Alle loro spalle “veglia” Tonino Tatò.

C’era già stata, il 27 a Roma, una riunione straordinaria della Direzione, ma è a Salerno che si capisce che la politica della “solidarietà nazionale” è finita.

A Giovanni Russo del Corriere della Sera che gli chiede se il “governo nuovo” possa essere presieduto da un comunista o da un socialista, Berlinguer risponde: “Quel che è certo è che, in ogni caso, non deve essere un democristiano e che il Pci deve essere la forza di massima garanzia di un governo nuovo.” 

A Valentino Parlato del Manifesto che chiede se il Pci non è più persuaso della “solidarietà nazionale”, Berlinguer risponde che “La Dc, avendo dimostrato di non essere in grado guidare un’azione di risanamento morale e di rinnovamento della politica e dello Stato, non è in grado di dirigere il governo del paese.” 

A Miriam Mafai di Repubblica, che chiede se questo vuol dire tagliare tutti i ponti con la Dc, il segretario del Pci replica tuttavia con prudenza: “Una cosa è dire, come facciamo, che la Dc non è più in grado di assicurare la guida dell’Italia, altra cosa è escludere un rapporto con la parte della Dc che sia capace di esprime posizioni avanzate e persone oneste.”

Nacque così “l’alternativa democratica”.

Andai a scrivere a Napoli. Forse perché mi sentivo più sicuro nella redazione di via Cervantes o forse perché finii nel seguito di Berlinguer che lasciava Salerno. So solo di aver lavorato duro: per la prima volta mi trovavo a fare i conti con un testo politico di quel rilievo. 

E poi, mentre scrivevo, avevo Tonino Tatò praticamente appollaiato sulla mia spalla, che ogni tanto mi ripeteva: “Non alternativa, ma alternativa democratica. Stai attento, non fare confusioni”. 

Non capivo perchè si preoccupasse tanto. Lo capii nei giorni successivi, quando fu tutto uno spiegare che era finita “la solidarietà nazionale” ma non era fallita l’ispirazione di fondo del “compromesso storico”. 

Ma la spiegazione non doveva essere tanto chiara se toccò nientemeno che ad Alfredo Reichlin, sull’Unità del 7 dicembre, intervistare Berlinguer, che cercò di buttarla sul sarcastico: “Mi fanno un po’ sorridere tutti questi becchini del compromesso storico. Perché sarebbe fallito? È fallita la caricatura che ne hanno fatto presentandolo come una formula di governo, peggio: come un accordo di potere tra noi e la Dc. L’abbiamo detto cento volte che non era questo”. 

In realtà era fallita una grande opzione politica, mentre ”l’alternativa democratica” – “mi raccomando democratica” – nasceva fra tanti “distinguo” e condizionamenti che non avrebbe mai spiccato il volo, pur tenendo impegnato per un decennio il Pci in una discussione di tipo Aristotelico.

Di quella svolta, la seconda di Salerno, (la prima com’è noto, l’aveva fatta Togliatti al rientro in Italia nel ’44, quando non aveva posto pregiudiziali contro la monarchia), mi colpì un altro episodio che si svolse pochi giorni dopo, in un cinema di Napoli. C’era una manifestazione del Pci ed arrivò un dirigente nazionale per “spiegare” la svolta. Ma per “spiegare”, cominciò a smontare in pubblico, pezzo per pezzo, la linea politica precedente. Non mi piacque il modo, non mi piacque il tono, anche se capivo che quel discorso era frutto di uno scontro interno. Mi chiesi che effetto potesse avere sui presenti, ai quali magari pochi mesi prima era stata “spiegata” con la stessa veemenza una linea politica opposta.

Cominciai a chiedermi, quel giorno, se il gruppo dirigente del Pci, nell’epoca di Berlinguer, fosse così monolitico come appariva all’esterno. 

La risposta sarebbe presto arrivata.

Rocco Di Blasi da Infinitimondi 3/2020

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La Sezione nella tenda

3 ALESSANDRO PULCRANO

Le cifre drammatiche della sera del 23 novembre sono scolpite nella memoria: tremila morti, novemila feriti, trecentomila sfollati, trentasei paesi rasi al suolo, duecentottanta paesi danneggiati. Due regioni, Campania e Basilicata, sconvolte nel loro equilibrio economico e civile, sessanta miliardi spesi per la ricostruzione.

Il terremoto del 1980 è lo spartiacque che cambia le sorti del sud Italia.

All’epoca ero il segretario provinciale della FGCI napoletana, una organizzazione di massa, radicata tra gli studenti ed i lavoratori, con un vivace dibattito politico, una forte spinta ideale.

Eravamo cresciuti nel segno della politica e della priorità della sfera pubblica su quella privata: homo totus politicus.

Per me fu naturale quella sera lasciare la mia famiglia ed andare in Federazione ed a Palazzo San Giacomo. Maurizio Valenzi, sindaco della città , ha ricordato che le luci del Comune furono le prime ad accendersi tra i palazzi delle Istituzioni.

Eravamo cresciuti nel segno della politica non come esercizio verbale, ma come testimonianza. Lo avevamo imparato giovanissimi nelle sezioni del PCI, impegnati nella campagna di vaccinazione di massa -ai tempi del colera del 1973 – e nei primi anni della giunta Valenzi , quando di notte scortavamo gli automezzi del Comune, utilizzati nella  pulizia della città’, e minacciati dalla camorra interessata all’appalto.

Per me fu naturale partire la mattina di martedì 25 novembre per Avellino, l’ epicentro del fenomeno, e poi a Lioni e Calabritto.

Il terremoto era stato sottovalutato dalle istituzioni e dai media. Non esisteva la Protezione civile, non si comprese la dimensione dell’accaduto .

In questo vuoto fu determinante la presenza delle organizzazioni territoriali del PCI : i primi ad arrivare in molti comuni terremotati con mezzi di fortuna, i primi a organizzare i soccorsi.

E’ il PCI , tramite Berlinguer, a segnalare a Pertini la drammaticità della situazione.

Pertini è il primo e più importante uomo delle istituzioni ad arrivare nel cratere. Torna a Roma sconvolto e la sera di giovedì 27 novembre parla alla televisione:

“….non vi sono stati soccorsi….ho assistito a spettacoli che mai dimenticherò …..ci sono state mancanze gravi…..non servono nuove leggi…..nel Belice a distanza di 13 anni non sono state costruite le case, dove è finito quel denaro ? “

Non solo una denuncia appassionata ma l’invito esplicito alla solidarietà’, all’ azione, al fare.

Lo colgono migliaia di ragazzi volontari che partono da tutta Italia. Il paese mostra due volti: quello della Stato e di una classe dirigente incapace e quello di una comunità civile che surroga alla deficienza delle istituzioni.

IL 25 /11/1980 si costituisce a Roma il CONG ( Centro operativo nazionale giovanile ) .

Aderiscono la FGCI, l’ ARCI, il Mov. Giov. DC, la FGSI, GI, la FGR, il PDUP, il MLS, DP,GA, la FUCI.

Nelle settimane successive il CONG organizza 8000 volontari, altri 5000 arriveranno con mezzi propri ed in maniera autonoma. Una straordinaria mobilitazione di tantissimi ragazzi mossi dalla solidarietà e dalla voglia di essere utili al paese. Partono intere scolaresche, dal nord al sud, per portare i soccorsi  (medicine, vestiario, tende, alimentari ) direttamente alle popolazioni .

Un moto spontaneo che però non si sarebbe potuto prolungare se non si fosse congiunto ad una scelta organizzata, a strutture di coordinamento e di rotazione, a meccanismi di individuazione dei paesi in cui installare i campi base.

I campi base: nei primi giorni sorgono un po’ ovunque, quasi in ogni centro si forma un ‘attendamento dove si fermano i volontari, si gestiscono le prime mense, si organizzano i centri di distribuzione del vestiario e del cibo. In una seconda fase svolgono una funzione diversa: organizzano politicamente gli abitanti in comitati popolari, hanno compiti più complessi e in alcuni casi, come a Calabritto , collaborano alla assegnazione delle prime roulottes. Alla fine di dicembre i campi base ancora in funzione sono 24.

Li hanno chiamati gli “angeli del terremoto ” sulla falsariga dei ragazzi dell’ alluvione del 1966 a Firenze.

A me pare ci sia una differenza significativa: nel 1966 sono protagonisti i ragazzi di una generazione  prepolitica, che viene prima della stagione del 1968 e degli anni della contestazione. Conoscono per la prima volta, sulle sponde dell’ Arno, l’ impegno collettivo e la condivisione di obiettivi e valori. Per loro l’impegno comune avviene in un territorio vergine e più facile nelle premesse, perché non contaminato da divisioni preesistenti.

Diversamente nel 1980 la generazione che si impegna proviene da una stagione iperpolitica con il  movimento del 1977; esistono fratture profonde tra i giovani politicizzati, si muovono sotto una cappa di violenza  frutto del terrorismo che ha contrassegnato la fase precedente.

Nel 1980 giovani di formazione politica e culturale diversa riscoprono le ragioni di un impegno comune e di uno sforzo condiviso. E qui la solidarietà ha un valore aggiunto: crea le condizioni per uscire da quel clima di violenza e scrollarsi di dosso tutto l’armamentario inutile delle precedenti divisioni.

La peculiarità della esperienza del 1980 è caratterizzata da altri tre aspetti :

  1. la nascita dell’esperienza del volontariato oltre i partiti, le sue organizzazioni giovanili tradizionali; il terremoto è il teatro di esordio di un modo nuovo di esprimere il proprio impegno e la partecipazione alla vita civile; è la legittimazione nazionale del fenomeno del volontariato come oggi lo conosciamo;
  2. l’ esperienza del 1980 getta le basi di un modo nuovo di fare politica post ideologico, che ritroveremo successivamente in altre esperienze, come il movimento per la pace e contro la criminalità organizzata, caratterizzato dalla cultura del fare, dal rifiuto della violenza, dall’autonomia dai partiti e dall’ incontro fecondo tra ragazzi di diversa formazione culturale e politica; 
  3. l’ impegno inedito delle organizzazioni cattoliche come la Caritas, Agesci, la Fuci. Il solidarismo cattolico svolge un ruolo di supplenza rispetto all’assenza delle istituzioni, rappresentato ai massimi vertici da un ceto politico proveniente da quel mondo ,ma incapace di rappresentarne  le istanze. E’ la messa in discussione definitiva  del ruolo della DC come unico intermediario e rappresentate del mondo cattolico.

La FGCI svolge un ruolo importante: organizza i primi soccorsi, crea il CONG a livello nazionale e periferico, promuove l’organizzazione dei campi base, stimola la creazione di cooperative di produzione di beni e servizi. Ma non solo. A poche settimane dalla sera del 24 novembre la FGCI pubblica “l’Italia che resiste”, un libro bianco di denuncia degli episodi più vergognosi di scempio edilizio ed urbanistico che sono alla base della tragedia del terremoto.

 “Non è la natura a fare i disastri”, sosterrà giustamente Cesare De Seta1, ma una dissennata politica urbanistica e di assetto idrogeologico. Il libro bianco focalizza l’attenzione sullo scandalo dell’ Ospedale di S. Angelo dei Lombardi crollato come un castello di carta, fotografa l’omissione dei soccorsi , evidenzia la necessità di una moderna protezione civile. Il 13 e 14 dicembre 1980 si tiene a Napoli il Consiglio Nazionale della FGCI che denuncia pubblicamente alla magistratura i ritardi, i colpevoli ed indica la strada per proseguire e dare un sbocco politico alla mobilitazione giovanile.

L’impegno non è concentrato solo nelle zone interne, ma anche nel capoluogo campano. Il terremoto a Napoli ha provocato a Poggioreale il crollo del palazzo di via Stadera con 57 morti; poche settimane dopo -il 15 dicembre- si verifica l’ implosione di un’ala dell’Albergo dei poveri ,dove perdono la vita 9 persone. Centinaia sono  gli edifici fatiscenti e  le case lesionate, le strutture scolastiche ed universitarie non utilizzabili.” Con il passare dei giorni e delle settimane ci si rese conto che, a differenza di quello sismico, il baricentro dei problemi sociali era a Napoli e non nelle zone interne dell’Irpinia e della Basilicata. Il terremoto aveva agito come un potente acceleratore di secolari processi di  degradazione.”2(V. De Lucia)

  Il 4 dicembre sono riaperti solo 36 istituti scolastici; Il 15 dicembre riparte l’università. La FGCI da vita al movimento per la salvezza della scuola ed il diritto allo studio. Si svolgono a Napoli e in provincia decine di manifestazioni per la riapertura e la messa in sicurezza della scuola.

La pagina del volontariato non fu esente da criticità. Dobbiamo ricordare l’incomprensione che si venne a creare tra volontari e popolazione civile, in talune situazioni nelle zone interne. Una sorta di estraneità del mondo del volontariato rispetto alla popolazione si determinò, in particolare, sul piano Zamberletti che prevedeva l’esodo della popolazione, sulla falsariga dell’intervento realizzato ai tempi del terremoto in Friuli. Il piano Zamberletti, plenipotenziario alla ricostruzione, non tiene conto della realtà economica e sociale delle zone colpite dal terremoto. Lo descrivono bene Giovanni Russo e Corrado Staiano3: “….le ragioni per cui i contadini sono decisi a sfidare un inverno tremendo piuttosto che arretrare, sono di carattere storico, psicologico, culturale, economico e sociale”. A soffiare sul fuoco delle divisioni ci pensa il sistema politico locale democristiano con l’obiettivo di mantenere il proprio ruolo di intermediazione politica, messo in discussione con l’ arrivo dei volontari nelle prime settimane del post terremoto.

Qual è la lettura politica della tragedia del terremoto? Il terremoto può considerarsi a ragion veduta come la lente d’ingrandimento della crisi italiana. Scrive Mieli4: “… nel 1980 si è consumata la vera prima crisi della I Repubblica. Quel sistema che sarebbe crollato tra il 1992 e 1993, in un altro tipo di terremoto, era in realtà già andato in frantumi tra il 1978 e 1980. L’autorevolezza, il prestigio, la capacità di trascinamento dei partiti politici e delle istituzioni che erano stati capaci di esercitare nei 35 anni precedenti, da quel momento in poi furono loro del tutto interdetti”.

Berlinguer coglie la particolarità della situazione e propone un governo diverso di capaci e di onesti. Con quella proposta cerca di superare le secche di una strategia politica (quella della solidarietà e  del compromesso storico) che oramai, dopo la vicenda Moro, non è più in grado di esprimere una reale vitalità politica. Al tempo stesso Berlinguer cerca di aprire una pagina nuova nella politica italiana caratterizzata dall’ apertura alla società civile, alle competenze oltre i partiti.

Forse i tempi non erano maturi (DC ed PSI governarono per altri 12 anni) oppure quella proposta, pur partendo da un’intuizione giusta, mancava del corollario di una strategia politica, di un sistema di alleanze che la rendesse possibile e praticabile. O, più probabilmente, tutte due le cose insieme.

Nel dibattito che si sviluppa nel mondo della cultura e del meridionalismo si guarda al terremoto come occasione per lo sviluppo e per il superamento del divario storico tra nord e sud del Paese. Il terremoto non solo non diventa un’occasione per un diverso sviluppo, ma acuisce alcune contraddizioni del Sud Italia. Uno sviluppo distorto, un uso abnorme del sistema degli appalti, la nascita della camorra imprenditrice, l’aggravarsi delle contraddizioni ambientali. “Il terremoto fa fare ai comuni il salto definitivo verso un’accentuata funzione economica e fa divenire il ciclo edilizio la principale attività economica della Campania per lungo tempo. A Napoli con il programma dei 20mila alloggi, e nel resto della regione con il piano per la ricostruzione, il terremoto diventa il canale principale di trasferimento di risorse verso la Campania .Il terremoto svolgerà’ una funzione di supplenza per quello che non si riesce a fare in termini di sviluppo per l’area campana. Lo sviluppo si identifica con l’edilizia e si ripete una storia tradizionale fatta di grandi calamità, leggi speciali, ciclo edilizio.”5(I. Sales)

 La commissione di inchiesta parlamentare, presieduta da Scalfaro, nel 1991 conclude i suoi lavori denunciando la lievitazione dei costi, gli sprechi clientelari, le scelte sbagliate di ricostruzione edilizia e di politica industriale. Il terremoto è un’occasione mancata per il superamento del divario Nord Sud, per uno sviluppo equilibrato ed ecocompatibile, per un reale recupero e valorizzazione dei tessuti insediativi storici, per la messa in sicurezza del territorio.

“La riflessione sul significato intrinseco delle mancante conseguenze positive diventò, da quel momento in poi, il terreno di coltura di tutte le dottrine, non solo quelle di stampo leghista, che si svilupparono in  antagonismo alla politica. E’ In quegli anni che nasce la teorizzazione di un governo dei capaci e degli onesti e l’esigenza di una supplenza della società civile nei confronti della politica. Non è un caso che nel 1993, con la caduta della I Repubblica salgono alla ribalta uomini come Ciampi , Di Pietro, Dini, Prodi, Berlusconi e Tremonti ”. ( P. Mieli)6

Cosa resta di quella pagina della storia del nostro paese? Cosa trasmettere alle generazioni future?

Tre parole chiave: impegno, responsabilità e solidarietà.

 L’Impegno, nelle forme nuove del volontariato, dell’associazionismo, di canali diversi di protagonismo,  che ripropongano il valore formativo e pedagogico della partecipazione attiva alla vita sociale del paese. 

 La responsabilità civica verso la collettività. I giovani sono giustamente alla scoperta del proprio talento, delle opportunità di realizzazione personale e professionale che valorizzino i meriti personali e le diversità .Ma tutto ciò non può avvenire se non in quadro di  ancoraggio etico della propria sfera individuale ad una responsabilità verso la comunità: restituire in parte quello che abbiamo ricevuto  per attitudini personali, censo, formazione ,ed appartenenza sociale ,

La solidarietà per non soggiacere agli egoismi particolari e ai sovranismi di ultima generazione. Non è un’utopia ma l’unico avvenire razionale possibile, nel tempo moderno  della globalizzazione e di un mondo sempre più connesso e senza confini.“ Praticare la solidarietà è difficile, lo è ancor di più pensarla, quando forte è la tentazione di consegnarla ad una storia che si sente finita, liberandosene quasi come un sospiro di sollievo, come se fosse ormai un peso troppo grande da portare, confinandola così tra illusioni perdute. Ma lo vieta una realtà nella quale la solidarietà non solo resiste ma trova persistenze e manifestazioni inattese.”.7 (S. Rodotà)

Alessandro Pulcrano da Infinitimondi 3/2020

Riferimenti bibliografici:

1 Cesare De Seta , Dopo il terremoto la ricostruzione, Editori Laterza 1983.

2 Vezio De Lucia , Se questa è una città, Editori Riuniti, 1992

3Giovanni Russo, Corrado Staiano , Terremoto, Garzanti, 1981.

4a cura di Paolo Mieli, Terremoto e trenta anni di cricca, Unisob Editori, 2010.

5Isaia SALES , la camorra , le camorre, Editori Riuniti, 1988.

6Ibidem nota 3

7Stefano Rodotà, un’ utopia necessaria, Editori Laterza, 2015

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Con Antonio Bassolino

4 IL VIDEO

https://youtu.be/HRpt6G7DzCM

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Nel Centro storico di Napoli. Con Nino Ferraiuolo e Mario Cercola

5 LO SPECIALE DE L’UNITA’

A Pozzuoli con Filippo Lucignano

Temi

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