di Pasquale Trammacco

Dopo i primi giorni trascorsi dalla scossa, le dimensioni del disastro assumevano contorni sempre più definiti, precisi ed angoscianti. Centinaia e centinaia di morti, migliaia di sfollati, intere comunità cancellate dalle dimensioni della distruzione, In Irpinia, ma anche in Basilicata, a Napoli, nel Casertano e nel Foggiano. Di fronte al disastro immane, allo sgomento diffuso, alla rabbia empatica del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, due elementi contemporanei segnavano quel tempo: il collasso dello Stato che stentava ad organizzare anche le prime risposte nell’emergenza ed il moto di solidarietà, quasi universale, che percorreva l’intera penisola ed addirittura, il mondo intero.
Passate le prime giornate, io ormai, mi ero trasferito in Irpinia, con ritorni a Napoli sempre più sporadici e necessitati dagli elementari bisogni vitali, quali, soprattutto, il lavarsi e il cambio di abiti. La spina dorsale dei collegamenti, durante il post terremoto, era diventato il nastro di asfalto della Napoli/Bari, da cui si irradiavano le diramazioni verso i luoghi più colpiti. Ritornati, finalmente, nella possibilità di utilizzo dei locali della federazione comunista, questa, divenne presto un luogo prezioso di coordinamento dei soccorsi, di raccolta delle informazioni, di relazioni fattive e sistematiche con i livelli istituzionali di riferimento.

L’umano “fuggi fuggi” di sindaci, giunte e funzionari, al netto delle lodevoli eccezioni, aveva provocato un vuoto delle sedi decisionali ed una incapacità di governo degli atti e delle azioni necessarie nell’emergenza. In assenza di un servizio di protezione civile, nazionale e regionale, le richieste d’aiuto dei territori si schiantavano contro un muro di burocrazia divenuto completamente sordo e afono.
La solidarietà nazionale, si era trasformata presto in una fila interminabile di autocarri, carichi di ogni cosa, bloccati, dalle mancate indicazioni sul dove scaricare. L’autostrada, si trasformò in un enorme parcheggio fatto di automezzi, carichi ed impossibilitati a consegnare, bloccati nelle loro attività dall’incapacità di coordinare gli aiuti. Così, un piccolo nucleo di “volontari”, militanti e dirigenti comunisti, coordinati da Lucio Fierro, responsabile enti locali del partito di Avellino, cominciò ad accumulare su un tavolo, che nella giornata si riempiva di post it e foglietti vari, le notizie e le richieste provenienti dai diversi comuni. Questo gruppo divenne una piccola realtà istituzionale che, sotto l’incalzare degli eventi, si faceva Stato, offrendo codici e linguaggi per tradurre le voci della realtà in azioni coordinate.

Questo piccolo miracolo, prese corpo, ricordo, dopo la visita di Andrea Geremicca. Assessore plenipotenziario, della giunta Valenzi, dirigente comunista, impeccabile e competente, irradiava il fascino, ai miei occhi, di un divo del cinema. L’eloquio, elegante, i gesti misurati, la postura sempre autorevole, faceva di lui una specie di Gassman della politica locale. Quando l’ascoltavi, non potevi non sentirti rapito dal suo argomentare, dalla sua mimica, dalla sua arte oratoria che sembrava essere studiata a tavolino.
Un riformista, profondo conoscitore anche della pancia della città di Napoli, pur provenendo dalle cinture operaie, dove resistevano le roccaforti “rosse” di quel tempo.
Io, ero iscritto al partito dalla fine del 1975 e Geremicca era allora, il segretario della federazione di Napoli. Nelle dinamiche politiche interne, delle seconda metà degli anni 80, i rapporti tra le diverse anime del PCI, erano polarizzati e concretamente rappresentati, dal segretario regionale, Antonio Bassolino ed dal potente segretario del partito di Napoli, Geremicca. L’Ingraiano e l’Amendoliano. Lo spessore dei ragionamenti di Bassolino erano condizionati e corrosi da una fastidiosa balbuzie di cui, con fatica si è poi liberato. Bassolino, era imbattibile solo nei comizi, quando si arrabbiava. Niente a che vedere, comunque, con l’eleganza oratoria e la postura controllata del “capo dei riformisti”, Geremicca. Questo, almeno, era l’immagine trasmessa a noi novizi di quegli anni. In quel momento, Andrea era forse il comunista più vicino al governo ed ai suoi poteri dell’intero gruppo dirigente comunista. La sua funzione di autorevole assessore della Giunta Valenzi, già lo proiettava in quella funzione istituzionale che si trasformò nei Commissari di governo della ricostruzione.


Di fronte al crollo delle funzioni in capo alla Prefettura di Avellino, arrivavano a noi, una serie di doglianze difficili da risolvere con la sola buona volontà. Si era chiesto, al sindaco di Baiano, di mettere a disposizione il sito di una scuola per poter raccogliere gli aiuti in arrivo. Una scuola situata in una zona esterna all’epicentro, ma prossima all’autostrada. E, così si fece, ma sarebbe stato complicato senza un coordinamento istituzionale. In quella stanza arruffata, allora quell’unico uomo in giacca e cravatta, si attaccò al telefono, ed il giorno dopo il Prefetto di Avellino fu defenestrato e sostituito. Ecco, almeno io, così me la ricordo.


Pasquale Trammacco


Print Friendly, PDF & Email

Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.