Grazie a Giuseppe Di Massa, instancabile comunicatore di storia e memoria della sua Gragnano e impegnato sul piano della memoria civile invece con la guida dell’ANPI Stabiese, per questo contributo che ci ha inviato.

Cento anni fa le tragiche avvisaglie del fascismo.

di Giuseppe Di Massa


I due anni che precedettero la presa del potere di Mussolini e del fascismo il 28.10.1922 con la marcia su Roma e la pavida decisione di Vittorio Emanuele III di affidargli la guida del governo, furono caratterizzati da violenze inaudite, come una guerra civile. Allora c’erano i fasci di combattimento, le così dette squadracce fasciste, più di recente abbiamo avuto, specie in America Latina, gli squadroni della morte o le pulizie etniche nei Balcani.

Il 15 Aprile 1919 a Milano fu assaltata la sede dell’Avanti!, il giornale socialista che Mussolini, da socialista, aveva diretto fino al voltafaccia della posizione di anti interventista convinto, poi dalla sera alla mattina passato a quella interventista. Il 15 Novembre 1914 fondò un giornale tutto suo “Il Popolo d’Italia” divenendone proprietario e direttore: Fu il prezzo del tradimento? Dopo la strage di palazzo D’Accursio a Bologna di fine 1920, durante il 1921 furono assalite dagli squadristi fascisti le sedi di giornali (17), camere del lavoro (119), cooperative (117), Case del Popolo (59), associazioni e circoli culturali (110) e sedi dei partiti socialisti e comunisti (141), 10 biblioteche e teatri e decine di altre strutture come le leghe contadine. Assalti anche a numerosi Municipi retti da socialisti e altre forze antifasciste e tra questi il Municipio di Castellammare di Stabia il 20 Gennaio 1921. Violenze e aggressioni con grave spargimento di sangue di numerosi antifascisti e quasi sempre le forze dell’ordine non riuscirono o non vollero evitarli o perseguirle penalmente, in molti casi vi era una tacita impunità e qualche volta la beffa di processi per coloro che erano stati selvaggiamente aggrediti (a Modena viene rimosso il Questore e puniti il capo della polizia e gli agenti che avevano difeso un poliziotto percosso selvaggiamente dai fascisti). Quindi non si trattò di episodi isolati dovuti a tensioni o intemperanze locali, ma una strategia messa in atto in tutta Italia. Forse se ci fosse stata una condanna decisa da parte governativa e una maggiore repressione delle forze dell’ordine, si sarebbe potuto arginare quella deriva antidemocratica, ma quasi nulla fu fatto. Spesso le squadre di aggressori, che vigliaccamente agivano con numerosi elementi contro i singoli antifascisti, lo facevano su sollecitazione di imprenditori, proprietari terrieri o banchieri, che volevano intimidire sindacalisti e personaggi della sinistra. Questo periodo premonitore è stato praticamente rimosso dalla memoria collettiva, sovrastato dalle successive più deleterie iniziative legislative antidemocratiche del governo Mussolini, che in pochi mesi dalla presa del potere nel 1924, instaurò una vera e propria dittatura. Chi non accettava quelle leggi veniva arrestato, condannato al confino (come Sandro Pertini) o alla prigionia (come Antonio Gramsci) e quelli considerati più pericolosi, gli intellettuali, eliminati fisicamente persino fuori Italia (come fu per i fratelli Rosselli in Francia). Obbligatoria era poi l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista per i dipendenti pubblici o particolari categorie di lavoratori (Oreste Lizzadri, dipendente di banca dovette lasciare il lavoro per non sottostare a questa pretesa, Nota 1). La maggior parte però, dai professori universitari agli insegnati elementari dovettero giurare fedeltà al regime per non perdere il lavoro.

Piazza Municipio 1935

Il pretesto per l’assalto al Municipio di Castellammare fu l’intitolazione della piazza antistante a Spartaco, che osò ribellarsi al potere schiavistico di Roma, ma anche per ricordare gli spartachisti (rivoluzionari di sinistra tedeschi) uccisi a Berlino nel 1919, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Insieme alla lapide in marmo col nuovo nome della piazza, un’altra lapide recitava:

SPARTACO FU IL GLADIATORE ROMANO CHE SI SACRIFICO’ PER LA LIBERAZIONE DEGLI SCHIAVI. SPARTACO FU CARLO LIEBKNECHT CHE FU ASSASSINATO. IL 15 GENNAIO 1919 PER L’EMANCIPAZIONE DEI PROLETARI (Nota 2).

La giunta socialista e di altre componenti antifasciste era guidata da Pietro Carrese, docente di matematica, eletta poche settimane prima. Il 20 era prevista lo scoprimento della lapide nella piazza e i fascisti e altri partiti di centro e di destra vollero protestare con un corteo, che fu autorizzato dalle autorità di polizia, a condizione che non sarebbe passato dalla piazza, ma doveva portarsi per un comizio in piazza Orologio. Al ritorno, ringalluzziti dagli slogan e dalla propaganda, i manifestanti, arrivati all’altezza della piazza Municipio, si diressero decisi lungo i due viali che conducono al palazzo comunale. Le forze dell’ordine, soprattutto i 50 carabinieri, cercarono di ostacolare la deviazione e l’avanzata dei dimostranti verso l’edificio. Il vicesindaco Pasquale Cecchi e altri consiglieri cercarono di convincere inutilmente il commissario Grassi e il capitano dei carabinieri a far arretrare i fascisti.

Pasquale Cecchi

La pressione però aumentava e montava sempre più la tensione. Alla fine le porte del Municipio furono chiuse e i pochi presenti, non c’era il sindaco, si barricarono nell’edificio, issando sulla torretta la bandiera rossa. Si trattava della bandiera socialista, in quanto il Partito Comunista sarà fondato il giorno dopo, con la scissione di Livorno voluta da Gramsci e Bordiga. A questo punto vi sono più versioni degli scontri. Si parla di colpi di fucile sparati dai difensori del Municipio, il primo dei quali colpì il maresciallo dei carabinieri Clemente Carlino, scatenando una furiosa reazione da parte delle forze dell’ordine e dei dimostranti fascisti. Un’altra versione parla di un colpo sparato dal terrazzino del seminario, sulla destra della piazza, dove erano entrati i manifestanti fascisti. E’ confermata poi da diverse fonti la presenza sulle scale della Cattedrale degli operai pastai di Gragnano, che, approfittando della festività del loro santo patrono Sebastiano, erano venuti ad assistere alla festa per l’intitolazione della piazza. Nel parapiglia restarono sul terreno 5 morti (il lattaio Sabato Amato che stava portando il latte col suo carretto all’ospedale San Leonardo, posto su un lato della piazza, il marinaio Michele Esposito, e gli operai Vittorio Donnarumma, Francesco Larussa e Raffaele Viesti) oltre al maresciallo e ad un centinaio di feriti. Non è stato però chiarito se i morti e i feriti appartenevano agli aggressori o agli aggrediti, cosa che avrebbe fatto luce su chi effettivamente sparò e premeditò la tragedia.

Testimonianze parlano di fascisti che sparavano facendosi scudo degli alberi della “canesta”, un giardinetto al centro della piazza, spalleggiati da malavitosi che anch’essi sparavano, evidentemente tutto era stato preparato se c’erano tutte quelle armi. Le forze dell’ordine penetrate alla fine nel palazzo comunale, arrestarono tutti i 15 amministratori presenti e decine di antifascisti (circa 150), tra questi ne furono perseguiti 15 e dopo un anno vennero processati a Napoli e tutti furono assolti. Il giornale Il Mattino non nascose il disappunto scrivendo: “Povero maresciallo Carlino, vittima del dovere”. Restò quindi un episodio volutamente non chiarito, ma furono evidenti le responsabilità delle forze dell’ordine che non fecero rispettare il divieto per il corteo fascista di entrare nella piazza. I 6 caduti di Castellammare si sommarono quindi alle numerose vittime, almeno 500 in varie parti d’Italia, cadute negli assalti fascisti alle istituzioni democratiche, solo in quegli anni che precedettero la presa del potere da parte di Mussolini.

Sul giornale Ordine Nuovo del 27 Gennaio 1921, testo attribuito ad Antonio Gramsci che ne era il direttore: “Senza esagerazione possiamo affermare che il movimento sindacale e politico stabiese è il migliore della provincia e non indegno di essere ricordato affianco ai vecchi ed ammirati centri della lotta di classe italiana” (Nota 3).

Opera di Armando Guglielmo Scarfato

L’antifascismo degli stabiesi fu poi evidente durante la visita di Mussolini del 17 settembre 1924, che, percepito il clima ostile degli operai del cantiere navale, annullò una parte del programma della sua visita e si avviò veloce e scuro in volto al motoscafo che l’aspettava. In occasione poi del 15° anniversario di quel tragico evento, il 20 Gennaio 1936, alcuni giovani distribuirono volantini contro il fascismo e Mussolini. Furono arrestati 15 “cospiratori”, alcuni dei quali furono condannati dal Tribunale Speciale a pesanti pene detentive: ad 8 anni i giovani Luigi Di Martino, Francesco Marano e Giuseppe De Rosa, 6 anni a Nunzio Martorano e 5 a Guglielmo Perez. Solo nel 2001, l’amministrazione comunale guidata da Catello Polito, volle ricordare quelle vittime con una lapide posta sulla facciata del Municipio e ci auguriamo che nel Centenario di quei fatti, si ricordino degnamente.

Oggi Castellammare di Stabia è orgogliosa della Medaglia d’oro al Merito Civile concessale nel 2005 dal Presidente della Repubblica Ciampi per la partecipazione alla Resistenza nel 1943 con il sacrificio della vita di 32 eroi, che non ebbero timore nell’affrontare le preponderanti forze tedesche (dal 12 Settembre 1943). Ancora una storia questa poco conosciuta fuori dall’ambito regionale, che precedette di due settimane. l’eroica rivolta del popolo napoletano con le 4 Giornate (dal 27 Settembre). Castellammare fu infatti la prima Città italiana a ribellarsi da sola allo straniero combattendo generosamente per un futuro di Libertà e Democrazia.

Giuseppe Di Massa


Note e Bibliografia.
Nota 1: Giuseppe Di Massa. Oreste Lizzadri. Una vita spesa per i diritti e la libertà. Quaderno Culturale 12. 2018.
Note 2 e 3: In Antonio Barone. Castellammare di Stabia. Pagine di Storia..Edizioni Godot. 1990.
Antonio Barone. Piazza Spartaco.Editori Riuniti.1974.
Antonio Ferrara. La strage cancellata. Articolo su La Repubblica 2011.




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