STORIA LOCALE DEL PCI NELL’EVOLUZIONE DELLA SOCIETA’ AFRAGOLESE


Il tentativo di questa raccolta di brevi scritti e testimonianze, di ricordi ed esperienze, nella ricorrenza dei 100 della nascita del PCI, vuole essere la ricerca di una ricostruzione di frammenti di storia personali in grado di esprimere e descrivere il tessuto connettivo del Partito nella sua quotidianità in relazione alle radici della realtà locale e alla sua evoluzione nel contesto storico socio-culturale di Afragola.
Nessuna ambizione di rappresentare un bilancio di successi e di sconfitte, neppure l’occasione di una celebrazione che, in questi tempi difficili di pandemia e di disastrosa crisi epocale, costituirebbe un esercizio retorico tanto inopportuno, quanto meramente autoreferenziale.
Un semplice tentativo, dunque, di raccontare con i ricordi di militanti e dirigenti, un po’ di storia vissuta della sezione locale del PCI, dove si discuteva insieme per una visione collettiva di emancipazione.
Anch’io, come la mia generazione degli anni 70 trovammo, in molti, nel PCI la possibilità di coltivare un’attiva speranza per un progetto di miglioramento della società che, nell’utopia del maggio francese del 1968 e nell’autunno caldo del 1969, individuava un punto di riferimento per superare gli angusti orizzonti di un capitalismo globalizzato e il dispotismo totalitaristico dei regimi illiberali.


Così, dopo un’infatuazione teorica maturata sui banchi del liceo “Genovesi” e poi nelle aule universitarie per il Manifesto e i movimenti di Sinistra, nel 1972 mi iscrissi al PCI e subito feci una concreta esperienza politica nel gruppo dirigenti della sezione di Via Roma con l’incarico di seguire il processo di unificazione con l’altra sezione PCI “Grieco” diretta da Pasquale Esposito, figura di primo piano iscritto al Partito dal 1921, già in carcere con Umberto Terracini, Consigliere Comunale dal 1960 al 1972 e punto di riferimento della realtà lavorativa e sociale del quartiere di S. Maria.
Pur nella delicata posizione di delegato della sezione di Via Roma, i compagni della sezione “Grieco”, soprattutto braccianti ed edili, superata la prima diffidenza mi coinvolsero in tutte le loro riunioni, nelle periodiche affissioni di manifesti e nei frequenti volantinaggi in Piazza Municipio, dove a pomeriggio inoltrato erano soliti riunirsi i lavoratori, ma anche molti disoccupati nella speranza di poter intercettare qualche giornata di lavoro occasionale.
Questo percorso politico, progettato con spirito innovatore ed inclusivo dell’allora segretario Gennaro Limone, per superare antagonismi e dualismi così da imprimere un deciso rinnovamento del partito, durò quasi due anni fino ad arrivare nel 1974 all’obiettivo finale del congresso cittadino di unificazione dei gruppi dirigenti della sezione “Lenin” di Via Roma.
Tale scelta del congresso cittadino, cui partecipò il segretario della Federazione Provinciale Andrea Geremicca, già consigliere comunale ad Afragola, risultò determinante nella crescita del Partito nel tessuto politico-sociale del contesto cittadino, perché se di fatto superava ogni anacronistico dualismo con la “Grieco” segnò anche l’inizio di un processo di aggregazione e di radicamento nella comunità con la formazione di altre due sottosezioni: la “Che Guevara” nel Rione INA-Casa diretta dal compagno Antonio Di Micco e la “Togliatti” nella zona di Via Falconieri (‘ncopp e pagliar) diretta dal compagno Achille Fusto.
Il PCI era, ormai, diventato una grande realtà politica con le sue sedi nei diversi quartieri di una città in piena evoluzione.
Questo periodo di istruttivo e formativo apprendistato contribuì alla mia elezione di segretario cittadino della sezione “Lenin” avvenuta nel 1974, quando Gennaro Limone, succeduto nella carica di Segretario Sezionale nel 1970 ad Antonio Bassolino, fu chiamato a prestare servizio militare.
Ma il segnale del cambiamento nella vita del PCI locale non fu tanto il riposizionamento strategico della città, quanto invece le elezioni del 15 giugno 1975.


La svolta vera e dirimente fu, infatti, la campagna elettorale della primavera del 1975 quando il Partito seppe allargare i confini del suo sguardo politico, oltre la realtà bracciantile e operaia, caratterizzando la propria lista con un gruppo di intellettuali, con una forte presenza di studentesse e studenti universitari, una significativa presenza di professionisti espressione del ceto moderato, ben radicato nella realtà cittadina.
Per realizzare quest’avanguardia del cambiamento e per superare un’impostazione unidimensionale della prospettiva della sezione, da segretario cittadino dovetti vincere non poche resistenze da parte di militanti che nella paura di superare gli steccati tradizionali, arrivarono persino a stigmatizzare conoscenze e frequentazioni con rappresentanti del mondo imprenditoriale e con esponenti della borghesia professionale.
Il riconoscimento di questa visione, aperta e pluralista, del PCI condivisa e programmata insieme al mio amico e sagace capolista Gennaro Limone, sostenuto dall’esperienza sobria e collaudata di Franco Laezza, già consigliere provinciale, e dall’impeto passionale di Antonio Siniscalchi, sempre attento a cogliere le novità dei tempi, fu la travolgente affermazione del Partito che ottenne ben dieci Consiglieri Comunali, raddoppiando il risultato della precedente competizione elettorale.
Non il numero fu eccezionale, ma eccezionale fu la poliedrica provenienza sociale e culturale dei Consiglieri del PCI costituita da rappresentanti dei braccianti con il loro capo lega, del mondo del lavoro nelle sue diverse componenti (operai e impiegati), liberi professionisti, universitarie ed universitari che sui banchi dell’opposizione sarebbero poi diventati medici, funzionari pubblici ed insegnanti.
Nel ripercorrere questa straordinaria esperienza ricordo particolarmente due episodi significativi del salto di mentalità e di prospettiva strettamente correlati alla crescita del Partito.
Il primo riguarda una delle prime sedute di Consiglio Comunale, uscito dalle urne con le elezioni di giugno 1975, allorché il partito di maggioranza relativa, la DC con ben 18 consiglieri, attraverso il suo candidato più votato, già Sindaco della città negli anni 60, cominciò a comprendere che il dato dirompente del partito di opposizione non consisteva nel numero, bensì nella diversità degli interventi, tesi a spezzare lo strapotere di quella che Gramsci chiamava “egemonia dei moderati”.
Prima Laezza da capogruppo, poi Limone da capolista, infine il sottoscritto da segretario di sezione, intervenimmo con la formulazione di una nuova visione dello sviluppo della città e con un progetto alternativo a quello dell’amministrazione PCI-PSI-PSDI-PRI appena insediata, delineando quasi una candidatura del PCI al governo della città.
Un misto di perplessità ed insofferenza si manifestò tra le fila democristiane culminato in una minaccia di querela, mai concretizzata perché insussistente, avanzata dall’ex Sindaco per l’espressione di “mestare nel torbido” da me adoperata tesa a contrastare il famoso programma della maggioranza.
Probabilmente, il campione delle preferenze dello schieramento moderato, anche Consigliere Provinciale della DC nonché già ex Sindaco, non aveva compreso opportunamente la metafora usata dal Manzoni nei suoi “Promessi Sposi”.
Di questo episodio si parlò a lungo non solo tra i partiti, ma anche nei bar e nelle piazze cittadine, come di uno scontro inedito che poneva fine all’egemonia democristiana, facendo vacillare il predominio del blocco conservatore democristiano che negli anni 50/60 aveva dominato nelle sedute del Consiglio Comunale.


Il secondo episodio rende conto della sopravvenuta consapevolezza nell’Amministrazione Comunale di dover coinvolgere nel governo locale, con un’intesa programmata i rappresentanti del PCI.
Correva l’anno 1978 quando, per la prima volta una donna, la giovane compagna Carolina Iazzetta fu eletta Presidente della Commissione Consiliare competente in materia di società, e il sottoscritto eletto Presidente della Commissione Consiliare competente in materia di Programmazione e Bilancio.
Con tale incarico di responsabilità e con l’impegno di tutte le forze politiche si riuscì a divulgare, seppure in maniera illuministica in quanto calata dall’alto, e a discutere il bilancio comunale con i cittadini, con i rappresentanti delle organizzazioni di massa come la Confesercenti, l’Ascom, CNA, Coltivatori Diretti e i Consiglieri circoscrizionali delle quattro circoscrizioni istituite per la prima volta nella vita politica amministrativa.
Sembrò la nascita di un altro modo di governare l’Ente Locale sulle basi di un dialogo e di un’inusuale collaborazione istituzionale, del tutto sconosciuta nella prassi e nella cultura del blocco moderato, fino ad allora, dominante in Consiglio Comunale.
Ma il sogno del bilancio partecipato durò ben poco, perché già nella tornata elettorale del 1980 furono abolite le elezioni dirette dei consiglieri circoscrizionali.
Una significativa ed esaltante esperienza è stata, poi, la celebrazione del 55° anniversario della fondazione del PCI, il 1 febbraio 1976, quando da segretario tra le modeste mura della sezione vidi contemporaneamente prendere forma la storia del Partito: quella passata rappresentata dalle prestigiose figure dei senatori MarIo Palermo e Pietro Valenza, dai compagni Gallico e Ingangi che avevano ricoperto incarichi nel PCI afragolese degli anni 50, la storia presente espressa dal senatore regionale Alinovi e dal deputato di zona Antonio D’Auria, e la storia futura rappresentata da Antonio Bassolino, che da astro nascente era già diventato stella fissa nel firmamento nazionale del Partito tanto che il segretario nazionale Enrico Berlinguer lo volle nella sua segreteria e il Presidente del Consiglio D’Alema lo avrebbe poi nominato Ministro del Lavoro quando era già Sindaco di Napoli.
In quella straordinaria ricorrenza, con orgoglio annunciai ai vecchi e nuovi compagni che il nostro PCI aveva conseguito il lusinghiero risultato, mai più ripetuto, di annoverare ben 500 iscritti.
Tra applausi, lacrime e commozione, furono premiati sia i compagni di antica militanza, molti dei quali oggi scomparsi, come Pasquale Esposito, Liborio Lanzano, Gennaro Marchese, Giuseppe Paribello, Francesco Di Micco, Luigi Guida, Teresa Funicola, Franco Laezza e Antonio Siniscalchi, sia altri compagni iscritti nel corso degli anni 60 come Gaetano Valentino, Francesco Del Mondo, Franco De Nicola, Antonio Varese, Simone Boccellino, Domenico Belfiume, che ancora militano nel PD e Vincenzo Castaldo diventato poi segretario del PDS.
Così, nella sezione di Via Roma, poco più che ventenne, si era compiuta la mia scelta di vita sull’onda di quel grande cambiamento epocale che il PCI aveva contribuito a sviluppare nella società afragolese, ma anche nella mia visione della realtà.


Quella grande esperienza di frenetica attività politica e di continuo dialogo sociale con operai e braccianti, con impiegati e professionisti, con donne ed intellettuali, con giovani ed anziani avrebbe lasciato un segno indelebile nella mia formazione politico-culturale e nella mia voglia di cambiare e migliorare il mondo.
Qualcosa che è più di una semplice nostalgia e che si è rivelata nei decenni successivi un progetto esistenziale di impegno civile nel segno dei diritti di cittadinanza e delle virtù trasformative della solidarietà con il difficile compito di lottare contro il riflusso predominante della rassegnazione.
Il Partito, nel corso degli anni, infatti, si è dimostrata una grande scuola di democrazia perché mi ha insegnato la pratica di un ascolto attento degli interlocutori, ha svolto la funzione quasi pedagogica nel promuovere la capacità di imparare dagli errori stimolando, con i frequenti dibattiti nella sezione, nelle assemblee con i compagni, con i cittadini, la disponibilità a tessere relazioni umane senza pregiudizi.
Il PCI di Gramsci e di Berlinguer continua, anche oggi a tracciare, seppur con la metamorfosi del PDS, DS e PD, la rotta del mio pensiero politico orientato a sinistra che, tra dubbi e smarrimenti, persiste nell’inseguire gli ideali della solidarietà e del bene comune memore dell’insegnamento gramsciano che “quanto tutto è o pare perduto, proprio allora bisogna tranquillamente mettersi all’opera ricominciando dall’inizio” (Quaderni dal carcere).
La filosofia politica della sinistra, infatti, non è un dogma né un dato assoluto, ma un moto dialettico della storia, una costante ricerca critica tesa a conquistare forme sempre più inclusive di democrazia in una visione crescente dei diritti di libertà e di uguaglianza.
E, malgrado l’attuale declino della politica ormai ridotta alla logica del marketing, questi frammenti di storia locale del PCI contribuiscono ancora adesso, ad alimentare la mia ricerca di un futuro più giusto perché il ricordo di quei formidabili anni 70 non passa mai del tutto.
Nicola Gala


Print Friendly, PDF & Email

5 commenti

  1. Complimenti per la narrazione che diventa conoscenza storico-politica e al tempo stesso momento di riflessione sul grande progetto politico ed ideologico-culturale basato sulla democrazia partecipativa del piu grande partito della sinistra europea.
    Intravedo infine un interessante passaggio per nulla nostalgico della nostra storia cittadina.

  2. Un racconto di un periodo storico dove i giovani si sentivano essenziali per dare una spinta al rinnovamento di una società arroccata su posizioni conservatrici e bigotte. Il PCI ha dato un grosso contributo affinché tutto ciò si avverasse . Nicola sei stato partecipe con la tua passione e la tua coerenza. Ad maiora GENNARO Pannone

  3. Mi è piaciuto perché ho potuto conoscere, dall’interno, i cambiamenti avvenuti nel Partito, in un’epoca come gli anni 70 in cui simpatizzavo x movimenti di sinistra più estremisti, che spesso mal sopportavano le scelte del Partito.

  4. Formidabile era la sensazione di speranza e fiducia nel futuro che si respirava, l’autorevolezza degli anziani e la disponibilità dei più giovani a progettare e sognare un mondo diverso, più giusto e solidale. Io ero alla Che Guevara quella dei ragazzi.

  5. Se ancora oggi a trenta anni dalla prima “meta-morfosi” da P.C.I. in P.D.S. si sente il bisogno di fare la commemorazione dei cento dalla fondazione del P.C.I. , significa che quel partito ha avuto un ruolo fondamentale nella trasformazione della società italiana a partire dalla lotta al fascismo, nell’evoluzione della classe operaia, nell’emancipazione delle donne, nelle lotte per i diritti dei cittadini: questo anche a partire da realtà locali come Afragola, con la passione e l’impegno di compagni che credevano in quella istituzione che
    faceva di tutto per non deluderli.
    Le commemorazioni si fanno per onorare e per rimpiangere ed oggi di un partito come il P.C.I. si sente il rimpianto.

Rispondi a Enzo Castaldo Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *