Ringraziamo di cuore Ubaldo Badi, Presidente oggi dell’ANPI di Salerno e cultore di storia del Movimento operaio.

Il suo saggio che segue, e che pubblicheremo in diverse parti, è frutto di un altro suo lavoro di prossima pubblicazione, Editore D’Amato, dal titolo «Partito Comunista e lotte di classe a Salerno» [Per una storia del M.O. salernitano (1943-1974)] e al quale si rimanda per le note al testo e la bibliografia completa.

Per chi volesse approfondire la vicenda del dissenso nel PCI salernitano del 1943 il rimando è al volume “Varcando un sentiero che costeggia il mare” di U. Baldi, Ed. Gaia 2012; per le vicende salernitane degli anni ’70, “Operai e studenti uniti nella lotta”, 1970-1974 Cinque anni ribelli a Salerno, U.Baldi, Ed. Gaia 2018.


IL PCI A SALERNO DALLE ORIGINI AL 1974

dal 1921 al 1943/1

A Salerno il Partito Comunista, nei giorni seguenti la Liberazione del 18 settembre 1943 quando le truppe alleate avevano effettivamente conquistato la città, sia nel capoluogo che nel resto della provincia, non potette subito contare su una vera e propria struttura organizzata e questo per due ragioni principali inerenti le dinamiche della sua storia organizzativa locale.

DAL 1921 AL 1943
Nel periodo seguente la prima guerra mondiale, nella classe operaia e negli altri settori del proletariato urbano e non, si era verificato un forte radicamento del Partito Socialista in cui era prevalente la sua componente di “sinistra”. Questo dato è confermato dalle votazioni precongressuali per il 17° Congresso nazionale del PSI di Livorno – gennaio ’21- quando nei congressi sezionali del salernitano si registrarono 114 voti alla frazione comunista e 493 voti alla mozione dei socialcomunisti unitari di Serrati e nessun voto alla mozione riformista.
L’effettiva costituzione del PCd’I a Salerno ha una data precisa, ed è quella del 3 aprile 1921 – di poco oltre la data limite del 21 marzo che era stata stabilita dal Comitato Centrale – quando questa fu formalizzata in un congresso provinciale tenutosi a Cava nei locali della Camera del Lavoro. Congresso svolto alla presenza di Ludovico Tarsia che relazionò sulle decisioni del C.C., sottolineando le divergenze tattiche e programmatiche che differenziavano i comunisti dal PSI. A quel congresso parteciparono delegati di alcune sezioni già costituite, come Angri, Cava, Castel S. Giorgio, Montecorvino Rovella, Penta, e i gruppi di Salerno, Scafati, Vietri. Certamente fu quella la costituzione e organizzazione di un Partito Comunista che anche nell’immediato periodo seguente, avrebbe avuto scarso riscontro a livello di massa.
Uno scarso riscontro legato anche alla mancanza di un vero e riconosciuto leader locale, pur essendo anni che rimangono legati alla contrastata figura e all’opera di Nicola Fiore, segretario della CdL dal 1914 e grande leader operaio, il quale però per la sua attività politica e sindacale fu bersagliato da soprusi polizieschi e perseguitato in senso giudiziario. Fiore incarnò la figura entusiasta e generosa del militante intransigente, ma che proprio per questo, pur essendo di fatto uno dei fondatori del PCd’I a Salerno e sembrando quindi destinato ad esserne il naturale leader, fu perseguitato dal fascismo e politicamente bollato di “anarco-sindacalismo” essendosi maggiormente dedicato all’impegno diretto nella difesa dei diritti dei lavoratori. Queste sono alcune delle ragioni interne al movimento, per cui Fiore non riuscì ad avere concrete possibilità di lavorare allo sviluppo dell’organizzazione partitica in senso orizzontale. Fiore a marzo 1919, dopo la parentesi bellica, fece ritorno a Salerno e reinsediandosi come segretario della CdL, si allontanò dal Partito Socialista e alle elezioni di novembre presentò una propria lista. A gennaio del ’20 partecipa alle manifestazioni che si accompagnano ai diversi giorni di scioperi proclamati dai postelegrafonici, conclusi il giorno 18 da un suo comizio, ma due giorni dopo fu arrestato e tradotto in carcere. È l’inizio di un lungo e doloroso calvario fatto di abusi e illegalità poliziesche, accuse vessatorie, scioperi della fame e spostamenti dei processi, che si concluse solo a luglio del 1921.
È infatti dal carcere che Fiore aderì al costituendo PCdI, inoltre quella lunga carcerazione indurrà in lui anche un forte risentimento verso i dirigenti del movimento proletario che gli erano succeduti, finanche verso il suo difensore e amico avvocato Petti. Nel 1922 fu escluso dalle trattative con le MCM e allontanato dalla CdL su iniziativa della FIOT nazionale e dal Partito Socialista Unitario. Negli anni che vanno dal ‘22 al ‘26 fu ancora incalzato e oggetto di ripetute violenze fisiche per il dilagare dell’offensiva squadristica, segnalato dalla P.S. come soggetto pericoloso e da arrestare periodicamente, subendo numerose perquisizioni domiciliari, tutte vicissitudini che ne minarono ulteriormente la salute già precaria. In clandestinità, luglio ’26, fu segnalato dal Commissario di P.S. di Scafati che riferiva di aver appreso “.. da fonte fiduciaria degna di fede che il Fiore sarebbe stato chiamato a far parte del Comitato comunista di settore, costituitosi in questo capoluogo, assieme ai compagni Nastri Vincenzo e Ferrara Antonio..” . Subì quindi tra i primi, provvedimento di condanna al confino a Lipari. Liberato nel ’27 fu ancora di più sorvegliato dalla polizia e perseguitato, nel ’30 ancora sottoposto ai vincoli dell’ammonizione, nel frattempo le sue condizioni di salute si aggravarono costringendolo al letto e si spense il 15 maggio del 1934.
Queste alcune ragioni di uno scarso seguito tra la massa dei lavoratori del PCd’I, che stentò a crescere se nel gennaio 1922, al successivo Congresso provinciale, presente ancora Tarsia, si dovette registrare addirittura una diminuzione numerica dei livelli organizzativi.
Solo nella immediata vigilia dell’entrata in vigore delle “leggi eccezionali”, il Partito si era poi costituito effettivamente a Salerno, ma a parte Fiore e alcuni suoi fedeli compagni erano ancora pochi gli aderenti. Il resto lo fece la stretta sorveglianza e la repressione dell’apparato poliziesco fascista, che si concentrò soprattutto sui militanti comunisti e quando la Commissione Provinciale iniziò la sua opera, comminando condanne al confino o le ammonizioni, provocò un immaginabile scompiglio nelle già esigue fila di costoro. Anche in provincia, il quadro era molto scarno, solo a Scafati e Nocera Inferiore risultava una più forte presenza nelle locali sezioni. Ciononostante nel dicembre del ’26, è il Partito Comunista l’unico partito che mostra ancora segni di attività clandestina, mentre gli altri partiti dell’opposizione si sono in pratica dissolti.


È a questo punto che emerge la figura del ferroviere Domenico Caracciolo – un piccolo eroe ormai quasi dimenticato – il quale a metà degli anni ’20 divenne punto di riferimento del Partito Comunista clandestino non arretrando mai di fronte all’incalzare delle persecuzioni fasciste. Si trattava di un meccanico, nativo di Cette in Francia nel 1899, che era stato licenziato dalle FS nel 1921 avendo partecipato ad uno sciopero e al ferimento di un esponente fascista, riammesso in servizio nel ’23 perché ex-combattente –retrocesso da fuochista ad operaio- e trasferito a Reggio Calabria. Sempre per motivi politici nel ’26 fu nuovamente licenziato, arrestato e tradotto a Salerno. Stabilitosi a Salerno entrò subito in contatto con il ferroviere comunista Gennaro de Marinis e con Nicola Fiore, diventando un loro attivo collaboratore. Caracciolo, già iscritto al PCdI dal ’23, anche dopo il licenziamento cercò di mantenere le fila dell’organizzazione, stabilendo contatti con Napoli e il “Centro”. Sempre nel ’26, sostituì il De Marinis nella carica di segretario della sezione salernitana, mantenendo stretti contatti con il segretario federale Antonio Ferrara. Le vicende giudiziarie e confinarie di Caracciolo da quel punto in poi, furono complesse, sottoposto a stretta sorveglianza poliziesca, nel marzo ’27 fu arrestato assieme ad altri compagni di Salerno e tradotto nelle locali carceri. Nella sua abitazione fu rinvenuto un apparecchio litografico e alcuni biglietti comprovanti i suoi rapporti con l’organizzazione clandestina del Partito. La C.P. di Salerno con ordinanza del 13 aprile 1927, lo assegna al confino per due anni a Lipari. Ma dopo poco Caracciolo, per aver organizzato attività di partito anche lì a Lipari, fu quindi tradotto a Palermo assieme ad altri 38 confinati. Da Palermo tradotto a Roma e qui, in seguito alle accuse delatorie di un altro confinato, denunciato al Tribunale Speciale che con sentenza dell’ottobre ’28 lo condannò a 5 anni di carcere, scontati nello Stabilimento Penale di Civitavecchia. Scontata la pena carceraria fu ritradotto a Ponza, ottobre ’32, per scontare tre anni di “sorveglianza speciale”, ma fu liberato il 14 gennaio 1933 con la condizionale. Una volta tornato a Salerno, seguitò nella sua attività clandestina, nel 1939 fu “scoperto” e subì una nuova condanna ad altri 5 anni di confino. Questa seconda condanna era legata all’accusa di aver organizzato a casa sua o recandosi a San Cipriano Picentino, alcune riunioni clandestine durante le quali si commentavano e ascoltavano radiotrasmissioni antifasciste alle quali partecipavano i fratelli Giovanni e Pasquale Naddeo, Giuseppe Gioia e Attilio Piccinino. Le loro abitazioni furono scrupolosamente perquisite con sequestro di libri “sovversivi”, una cartolina che riproduceva un uomo alla testa di un corteo che agitava un “vessillo rosso”, due apparecchi radio e una copia dell’Internazionale. Caracciolo trascorse tra carcere e confino, scontati in parte tra Montemarano e Pisticci, altri tre anni e quattro mesi, fu infatti liberato a ottobre del 1942 avendo beneficiato del condono di un terzo.


All’inizio degli anni ’40, quindi in città erano rimasti pochi militanti superstiti, tra questi il sarto Matteo Romano, nato a Salerno nel 1901 e iscritto al Partito Comunista dal 1923, che arrestato assieme agli altri nella retata dell’aprile del ’27, fu dalla C.P. assegnato al confino per un anno a Lipari con ordinanza del 13 aprile. Nonostante le sue disabilità, in assenza di Caracciolo già confinato, aveva continuato nella sua attività clandestina e di collegamento per cercare di tenere in piedi anche un minimo di struttura organizzativa del Partito, a Penta di Fisciano infatti riuscì a organizzare una riunione clandestina con alcuni compagni provenienti da Napoli. Dal 1928 al 1939 l’incessante azione spionistica della polizia fascista fa sì che subisse diverse perquisizioni e arresti preventivi. Nel 1939 assieme a Caracciolo e ad altri- tra questi Piccoli, Bassi, Piccinino– anche il povero sarto Romano fu riarrestato, subendo una nuova “ammonizione” per due anni, ma una volta scontata la pena, nell’agosto del ’41, fu di nuovo arrestato e destinato al “campo di concentramento” di Manfredonia. In precarie condizioni fisiche e debilitato per una malattia intestinale cronica, fu sottoposto a visita e liberato per motivi sanitari il 23 settembre del ’41. Tornato a Salerno gli fu comunicato una nuova ammonizione, ciononostante continuò però a svolgere soprattutto attività di propaganda nella enclave operaia di Fratte.
Queste difficoltà organizzative e numeriche del quadro militante comunista nel ventennio fascista si inseriscono però in un contesto comunque vivo di opposizione documentato dai condannati dal Tribunale Speciale al carcere o al confino, all’azione clandestina comunque viva, all’emigrazione politica in Francia, alla partecipazione per la difesa della Repubblica spagnola prima e alla Resistenza poi.
Il quadro delineato serve a spiegare le ulteriori difficoltà, nell’immediato periodo post-sbarco e fino alla definitiva Liberazione, che ebbero i pochi militanti che si impegnarono nella ricostituzione del PCI a Salerno.

1/continua

Ubaldo Baldi



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