GLI ANNI ’80 E I COMUNISTI DELL’AZIENDA AERONAUTICA DI POMIGLIANO D’ARCO

di Antonio Ferrara


Ho una tale fiducia nel futuro,
che faccio progetti solo per il passato
Ennio Flaiano

In queste ultime settimane c’è stato un ritorno d’attenzione del sistema mediatico per i comunisti italiani. Alla rievocazione del centenario della nascita del PCI e alla scomparsa di Emanuele Macaluso è stato dato ampio spazio, e addirittura anche i grandi giornali nazionali hanno pubblicato fascicoli e libri sulla storia remota e recente del PCI.
Per questo riparlare dei comunisti italiani, complice della memoria il tempo disponibile causa Covid, immaginiamo che diverse persone, non giovanissime, siano ritornate a riflettere su vicende lontane negli anni, tante piccole e grandi storie vissute in prima persona, e tuttavia rimosse non solo dal tempo.
Sulla storia del PCI napoletano si è scritto e parlato anche troppo; è più che probabile che le copie vendute dei nuovi libri usciti di recente sull’argomento, faranno a breve bella mostra sulla bancarella di Gennaro, a San Biagio dei Librai, dove si riciclano le librerie private di tanti napoletani ex comunisti e appassionati di storia e politica.


Lo scopo di questa nota di poche pagine invece è ricostruire una storia minore di cui nessuno ha mai scritto un rigo: le vicende del gruppo dirigente comunista AERITALIA degli anni ‘70 e ottanta.
Leonardo, il nome di oggi della storica azienda aeronautica AERITALIA, è una multinazionale conosciuta e nell’immaginario collettivo è considerata un modello positivo d’industrializzazione. Sarà anche vero, ma i fatti qui narrati risalgono al periodo quando l’Aeritalia si avviava a diventare un importante gruppo industriale internazionale.
Lo sviluppo dell’azienda era caratterizzato, oltre che da importanti investimenti pubblici (Aeritalia era un’industria a Partecipazione Statale), da migliaia di nuove assunzioni negli stabilimenti di Napoli, Torino e Nerviano.
Gli anni ’70 e ’80 furono il periodo durante il quale migliaia di giovani in Italia ebbero accesso alle grandi industrie pubbliche italiane, per la prima volta dopo il boom economico, l’incremento dell’occupazione riguardava anche le regioni meridionali e la Campania.
Nella prima fase, agli inizi degli anni ’70 le fabbriche metalmeccaniche, dei trasporti, cantieristica, agroalimentare, siderurgiche, dell’auto e le nascenti industrie aeronautica ed elettronica, si erano riempite di soli operai; poi, negli anni successivi, tra i due decenni, le assunzioni di massa si estesero anche a ingegneri, tecnici, laureati e diplomati.
Era la prima importante risposta della classe politica e dell’industria pubblica italiana alle aspettative giovanili e alla richiesta di lavoro qualificato conseguente alla scolarizzazione di massa.
I giovani assunti oltre che scolarizzati erano anche formati politicamente, molti di loro in contesti sociali conflittuali, per cui dal contatto ravvicinato con il mondo operaio fu inevitabile che in gran numero si avvicinassero al PCI e alle sue organizzazioni di fabbrica.

In Campania, l’Aeritalia e in misura minore l’Olivetti di Pozzuoli e Selenia del Fusaro, furono tra le prime aziende pubbliche che aprirono i cancelli a molti giovani diplomati e laureati napoletani. Questo significò per loro la possibilità di non trasferirsi nel Nord industrializzato, l’opportunità di avere un lavoro gratificante e, per la prima volta, l’opportunità di poter fare una vera esperienza formativa internazionale anche in grandi gruppi industriali mondiali. Tutto questo senza lasciare la città, le famiglie e gli amici.
Questo rinnovamento dell’industria con l’accesso al lavoro delle nuove generazioni avrebbe potuto rappresentare anche un’opportunità per la classe dirigente meridionale e per i partiti di aggiornare la rappresentanza politica che, ben prima dell’intervento della magistratura, aveva dimostrato, di non essere più adeguata a governare la modernizzazione del Paese.
La vicenda del gruppo dirigente della Sezione PCI Aeritalia è uno spaccato di questo scenario, il cui epilogo aiuta a capire che il partito comunista napoletano, dopo il decennio di crescita e successi politici ed elettorali, dagli anni ‘80 si avviava a diventare un soggetto politico nel solco dei partiti dei quali era stato un’alternativa.
Nei gruppi dirigenti provinciali dell’organizzazione, il confronto, le posizioni politiche e le decisioni nell’amministrazione pubblica, erano sempre più condizionate da ambizioni e interessi personali di carriera e dalla conservazione di equilibri raggiunti dopo estenuanti mediazioni. La pratica del potere, la gestione della ricostruzione post-terremoto, una consolidata ed estesa presenza nelle istituzioni, aveva messo in moto quella ‘mutazione genetica’ nel Pci campano che negli anni successivi ha travolto l’intera classe politica napoletana di estrazione comunista.

Nel caso dell’Aeritalia quella deriva fu la causa della fine traumatica dell’organizzazione comunista di fabbrica. A conclusione di un lungo periodo di difficoltà con la Federazione comunista napoletana, nel 1986, l’intero gruppo dirigente della sezione PCI lasciò la militanza politica e il partito comunista.
Di queste vicende sono rimaste le copie del DECOLLO, il giornale della sezione di fabbrica, tra l’altro quelle recuperate sono anche digitalizzate, e il materiale della ricerca sociologica del 1985.
Quell’esperienza sarebbe comunque finita allo stesso modo quando il Partito comunista italiano decise di smettere di esistere, oppure, nel 1993, quando i lavoratori dell’azienda di Pomigliano D’Arco vissero una lacerante stagione di lotte sindacali; ma questa è un’altra storia, che dovrebbe essere ricostruita da qualcun altro.
La vicenda della sezione di PCI Aeritalia è stata negli anni, e fino a tempi recenti, ricordata nelle discussioni, non solo nostalgiche dei lavoratori più anziani, perché – aspetto curioso della vicenda – quegli stessi comunisti dell’organizzazione del partito, hanno, nei decenni successivi, rappresentato la classe dirigente dell’azienda e hanno contribuito in modo importante alla crescita e allo sviluppo dell’industria aeronautica campana.

IL PCI NAPOLETANO E LE AZIENDE METALMECCANICHE
Dalla prima metà degli anni 70, con l’epidemia del Colera e il risultato del referendum sul Divorzio, per la DC e i partiti che governavano la città si aprì una fase di crisi politica che avrebbe portato il PCI napoletano, nel biennio 75/76, al miglior risultato elettorale della sua storia.
Napoli aveva eletto sindaco Maurizio Valenzi, e molte città della provincia avevano per la prima volta dei comunisti come primi cittadini. Il successo della Festa dell’Unità provinciale e poi quella Nazionale di Napoli alla Mostra D’Oltremare, aveva dimostrato quanto erano cresciuti il consenso, la partecipazione dei militanti e la capacità organizzativa del partito napoletano.
In città e in provincia, il PCI veniva fuori dall’isolamento dei decenni precedenti e apriva gli organismi dirigenti a settori nuovi della società. Nelle imprese metalmeccaniche, dove la presenza organizzata del partito era consolidata da solidi legami con gli operai, il rinnovamento delle organizzazioni di base procedeva invece con maggiore cautela.
Nell’area industriale di Pomigliano D’Arco dalla seconda metà degli anni 70 i grandi gruppi, per elevare la soglia tecnologica delle aziende ed estendere i mercati di riferimento, trasformavano rapidamente i sistemi di produzione, introducevano nuovi modelli dell’organizzazione del lavoro e sviluppavano le aree tecniche e di progettazione.
Per interpretare le trasformazioni conseguenti ai processi d’ammodernamento dell’industria, i partiti di sinistra e il sindacato avrebbero dovuto estendere i gruppi dirigenti politici a quelle nuove figure professionali.
Invece nelle fabbriche era consolidato un equilibrio della rappresentanza, prevalentemente costruito sul prestigio e l’esperienza dei vecchi militanti. Tra gli operai c’era ancora una lontana diffidenza verso tecnici e impiegati.
Non aiutava l’integrazione il meccanismo che allora regolava l’ingresso dei nuovi assunti nelle aziende. Il sistema dei partiti e il crescente potere sindacale controllavano in sostanza le assunzioni di operai, non solo nei grandi gruppi, attraverso la gestione delle commissioni di collocamento, la legge 285 del 1977 per l’occupazione giovanile e poi con i movimenti dei disoccupati organizzati. Le aziende selezionavano quasi esclusivamente laureati e diplomati, anche se, nelle imprese a partecipazione statale, queste assunzioni risentivano pesantemente delle ingerenze dei partiti.
L’ingresso di un gran numero di laureati e diplomati portava nelle fabbriche napoletane giovani politicizzati anche in contesti radicali non sufficientemente lontani da quegli ambienti che alimentavano il fenomeno del terrorismo, il quale puntava chiaramente a raggiungere i lavoratori delle grandi industrie.
L’attenzione dei comunisti per i gruppi dirigenti delle fabbriche importanti era quindi altissima, perché alto era il rischio che l’eversione vi trovasse dei varchi.
Quella scelta del sindacato e delle organizzazioni del PCI d’isolare i terroristi nelle fabbriche si rivelò poi decisiva nella sconfitta del fenomeno e la difesa della Democrazia.
I gruppi dirigenti di fabbrica, dalla seconda metà degli anni 70, quando i movimenti giovanili avevano dimensioni di massa, dovevano salvaguardare le condizioni di agibilità politica conquistate nelle imprese, includere le nuove generazioni e orientarne la volontà di cambiamento verso la trasformazione dei rapporti politici e di potere, sia nella fabbrica sia nell’insieme della società italiana.
Il PCI nelle fabbriche necessariamente procedeva nel rinnovamento delle organizzazioni con moderazione e continuità; la linea era cooptare nei gruppi dirigenti del partito non solo gli operai e mantenere un saldo legame con il partito centrale per evitare pericolose derive verso un radicalismo che avrebbero aperto varchi al terrorismo.

Il modello di riferimento del PCI napoletano era quello delle organizzazioni dell’Italsider e Alfa Sud che fino allora avevano dato i risultati importanti, anche rafforzando il partito elettoralmente sul territorio della provincia:

– Organizzazione forte del partito che coincideva con quella della CGIL;
– Dirigenti operai e impiegati politicizzati formati da precedenti esperienze nel PCI;
– Orientamenti rivoluzionari – più di facciata che di sostanza – per facilitare l’inclusione delle giovani generazioni;
– Concentrarsi sugli spazi di potere del sindacato per gestire il consenso tra i lavoratori;
– Delegare il più possibile a strutture sindacali esterne la responsabilità di scelte importanti e il rapporto con il management dell’azienda.

Il partito e il sindacato garantivano la continuità del sistema con la cooptazione negli organismi dirigenti cittadini e regionali dei militanti e sindacalisti affidabili e di lungo corso di quelle realtà che garantivano la tenuta organizzativa interna alle fabbriche e trainavano consenso politico/elettorale tra i lavoratori.

Questa modalità di scouting, per tutti gli anni 70 e ’80, funzionò perfettamente, e negli anni successivi, avrebbe rappresentato una corsia d’accesso per i dirigenti comunisti dell’Italsider e Alfa Sud alle posizioni apicali del partito e nelle istituzioni elettive.
La società e l’industria napoletana però in quegli stessi anni si trasformavano velocemente per effetto di una prima fase della deindustrializzazione. Quel rapporto sbilanciato del partito con le organizzazioni di quelle imprese che erano ancora ritenute il modello d’industria da salvaguardare a qualunque costo, fu uno dei più gravi errori del PCI napoletano, le cui conseguenze avrebbero pagato l’intera città negli anni successivi.

LA SEZIONE COMUNISTA AERITALIA
La presenza comunista in fabbrica si era strutturata durante la prima metà degli anni 70 intorno ai vecchi militanti comunisti dell’AERFER, operai fortemente rappresentativi del territorio pomiglianese e di notevole spessore anche morale, come Antonio Oratino e Antonio Mele.
Dai primi anni settanta erano arrivati in azienda la generazione sessantottina, ingegneri aeronautici, progettisti e tecnici, molti dei quali l’azienda aveva inviato negli Usa dove avrebbero maturato le esperienze e conoscenze utili per consentire a essa di partecipare ai nuovi progetti aeronautici internazionali.
AERITALIA si preparava a diventare una vera azienda aeronautica; si costituiva la Direzione Tecnica con gli uffici inizialmente ad Arzano, e poi a Napoli, nel palazzo Fontana di Via Marina.
Dalla seconda metà degli anni 70’ anche la Direzione Tecnica fu trasferita a Pomigliano D’arco. La scelta si rese necessaria perché partiva il primo programma di produzione con Boeing e occorreva il contributo di quei tecnici che forse erano stati tenuti lontani dalla produzione anche per evitarne il coinvolgimento e la contaminazione ideologica con le lotte operaie.
Quella generazione di lavoratori in realtà era già contaminata dal “male oscuro” della passione politica, per cui, quando, verso nella seconda metà degli anni 70, tutti gli uffici tecnici furono portati nel perimetro dello stabilimento ex Aerfer di Pomigliano D’Arco, il PCI e la CGIL di fabbrica si ritrovarono tra le loro file un gran numero di militanti, preparati politicamente e altamente scolarizzati.

Nel 1980 si costituì a Pomigliano D’Arco la sezione di fabbrica Aeritalia del PCI con un suo autonomo gruppo dirigente, prima l’organizzazione era solo una cellula non indipendente dalla struttura territoriale.
Dopo gli accordi industriali con i colossi aeronautici americani l’azienda cresceva rapidamente e in pochi anni arrivarono in fabbrica migliaia di operai e tecnici, fu assorbito l’impianto Ex FAG di Casoria e realizzato il nuovo stabilimento a Foggia.
La sezione del partito cresceva con l’azienda, oltre la tradizionale presenza nei reparti produttivi si era radicata una diffusa presenza nei nuovi uffici tecnici e tra gli impiegati.
Il gruppo dirigente era legittimato da rigorose consultazioni congressuali che garantivano la presenza equilibrata di operai e ingegneri, tecnici, quadri e addirittura manager.
Quadri di fabbrica furono inviati per alcuni mesi alla scuola di formazione politica del Partito di Frattocchie a Roma, diretta da Renzo Lapiccirella. Altri militanti della fabbrica furono impegnati alla Scuola di Amministrazione Pubblica organizzata a Castellammare di Stabia in previsione di futuri impegni nelle istituzioni e la redazione napoletana de L’Unità decise di avere in azienda come corrispondente un ingegnere della Direzione Tecnica.
L’organizzazione aveva una rete capillare di militanti, simpatizzanti e di oltre 400 iscritti, era strutturata con una filiera di responsabili, nei reparti e nelle aree di progettazione di Pomigliano D’Arco, a Casoria e nei due impianti di Capodichino.
Non mancava una forte contrapposizione delle opinioni, ma, rarissimamente il confronto si trasformava in rotture politiche e personali tra dirigenti e militanti.



L’AZIENDA
AERITALIA era un gruppo industriale napoletano, con sede ufficiale e direzione generale a Fuorigrotta; tutto poi fu trasferito nel 1990 a Roma, quando si costituì Alenia Aeronautica.
Il mercato aeronautico si apriva a grandi opportunità di sviluppo e, prima, Renato Bonifacio, poi Fausto Cereti e Amedeo Caporaletti volevano trasformare la Società, nata dalla fusione della vecchia Aerfer con FIAT Avazione, in una moderna azienda aeronautica.
Per raggiungere il risultato erano necessarie grandi risorse pubbliche, scelte industriali rischiose, enormi investimenti, grande fiducia e sacrifici. Un governo condiviso dell’azienda era una condizione necessaria perché il peso politico e di mobilitazione del sindacato e del partito comunista era enorme, per cui era indispensabile che le organizzazioni rappresentative dei lavoratori condividessero il progetto.
Per le maestranze si prospettava un futuro lavorativo sicuro in un’azienda e in un comparto industriale destinato a crescere. Per gli operai la qualità del lavoro era sicuramente diversa dalle linee di produzione dell’Alfa Sud e il management, i tecnici e progettisti sapevano che partecipare allo sviluppo di grandi programmi industriali avrebbe significato possibilità di carriera e l’opportunità di esperienze nei grandi gruppi aeronautici all’estero.
Per il territorio le ricadute erano importanti: dall’occupazione di giovani diplomati e laureati allo sviluppo dell’indotto aeronautico, che nasceva con piccole aziende – spesso messe in piedi da ex dipendenti della stessa AERITALIA – e che cresceva a Napoli e nella sua provincia.

LE ORIGINI DELLA ROTTURA CON IL PARTITO NAPOLETANO
La breve storia della sezione AERITALIA si consumò in questo scenario, quando divenne del tutto evidente che il lavoro politico non poteva ridursi ad attività di propaganda e alla rincorsa di consenso utile per le campagne elettorali.
L’azienda aveva necessità di essere governata e al management era sempre meno utile l’interlocuzione con un sindacato di fabbrica sempre più interessato alla garanzia d’interessi particolari o alla sola gestione delle “paritetiche”, le commissioni dove si decidevano con la direzione passaggi di livelli, trasferimenti e mobilità, prevalentemente per gli operai.
La direzione aziendale riconosceva ai dirigenti di fabbrica del PCI competenza e rappresentatività per cui era del tutto naturale che cercasse spesso con loro il confronto diretto nella gestione di una grande azienda in rapida trasformazione.
Nessuno rinunziava alle sue prerogative e i funzionari provinciali del partito responsabili delle organizzazioni di fabbrica mostravano diffidenza, o perché si ritenevano esclusi da un rapporto con l’azienda oppure perché non attrezzati culturalmente a interpretare quelle situazioni diverse dai paradigmi che avevano imparato a gestire.
Bisogna dire che quando il Pci nel 1991 si auto sciolse, e fu rimosso il grande contenitore ideologico, le vicende personali di quei funzionari di partito, dimostrarono quanta ipocrisia e malafede ci fosse nelle loro posizioni dogmatiche.
La storia dei comunisti AERITALIA è tutta dentro questa rappresentazione. L’organizzazione interna continuò per alcuni anni a operare in autonomia, fece a meno del supporto dei dirigenti della Federazione napoletana e la frattura restò sotto traccia fino al 1986 e al XVII congresso del PCI napoletano.

L’EMARGINAZIONE
Nelle elezioni politiche del 1979 e 1983 erano stati inseriti nelle liste elettorali comuniste un operaio e un ingegnere della Direzione Tecnica AERITALIA. I due non furono eletti ma ottennero entrambi migliaia di preferenze.
Tali risultati avrebbero dovuto dare forza al gruppo dirigente della fabbrica, invece preclusero qualsiasi possibilità per i militanti della Sezione AERITALIA di essere eletti nelle istituzioni della Repubblica. Non potevano essere candidati al Parlamento, alle elezioni regionali o comunali delle grandi città perché rischiavano di essere eletti.
La prerogativa di decidere gli eletti nelle istituzioni della Repubblica era della Federazione e non degli elettori, infatti, nel 1984 quando i dirigenti comunisti dell’AERITALIA riuscirono nell’impresa di far passare negli organismi centrali una loro candidatura per le elezioni europee (era un ingegnere dell’azienda), senza alcuna spiegazione il nome fu cancellato la notte precedente alla presentazione della lista in tribunale.
Il punto di rottura tra i dirigenti AERITALIA e il Partito, comunque, si ebbe solo nel 1986 con il XVII congresso del PCI che lacerò profondamente la platea dei militanti del partito napoletano.
Si scontrò ferocemente l’ala ingraiana, guidata da Antonio Bassolino, con quella dei riformisti, come si chiamava allora il gruppo guidato da Giorgio Napolitano.
Prevalsero gli ingraiani che non fecero “prigionieri”; furono risparmiati solo quelli che Napolitano decise di salvare. Molti militanti ritenuti riformisti furono buttati fuori dagli organismi di governo del partito, e Salvatore Vozza, braccio esecutore degli ingraiani, che era anche responsabile per le fabbriche, pretese tra le altre esclusioni quella della sezione AERITALIA che riteneva schierata con i riformisti.
In realtà non esisteva alcun rapporto organico dei dirigenti di fabbrica con personaggi o organizzazioni che si rifacevano alla “corrente” di Napolitano, i cui fedeli sostenitori, seppure politicamente sconfitti, grazie al loro leader trovarono il modo di ricollocarsi dentro e fuori dal partito.
L’esclusione dei militanti AERITALIA dal gruppo dirigente era stata voluta da chi aveva vissuto come umiliazione l’autonomia e la “presunzione” dei comunisti di quella fabbrica.
Uno stato d’animo che si era manifestato quando i dirigenti Aeritalia furono accusati dalla Federazione comunista napoletana di slealtà perché, a loro avviso, il gruppo dirigente di fabbrica non avrebbe condiviso la posizione del partito sul taglio dei punti di contingenza del governo Craxi.

IL DECOLLO – Il giornale di Fabbrica della Sezione PCI AERITALIA ( Link ai numeri disponibili e digitalizzati )
IL DECOLLO iniziò la pubblicazione nel 1983, all’epoca nessun altro giornale comunista era realizzato in aziende campane. Era stampato in tipografia e richiamava il vecchio giornalino ciclostilato della cellula comunista di fabbrica degli anni 70 di cui aveva ereditato il nome.
Il progetto non fu finanziato dalla Federazione del partito che lo ritenne costoso e troppo “impegnativo”/pretenzioso; i promotori del progetto, ciò nonostante, decisero di andare avanti con l’autofinanziamento e con il ricorso alla pubblicità.
La decisione di cercare finanziatori privati non fu una scelta facile, ma si dimostrò decisiva perché diverse attività private di Pomigliano D’Arco risposero positivamente e questo consentì alla redazione del giornale una completa autonomia.
Nei tre anni successivi, gli introiti delle vendite e l’apporto della pubblicità dei privati coprirono e superarono tutti i costi del giornale. Quando il gruppo dirigente di fabbrica uscì di scena e si chiuse il giornale, una parte dei fondi del DECOLLO fu utilizzata per dei gadget realizzati da Ferrigno, un artigiano dei pastori di San Gregorio Armeno. La statuina di un Pulcinella che leggeva il DECOLLO fu spedita o consegnata a tutti quelli che avevano collaborato con il giornale.
Tra i dirigenti del partito ai quali era piaciuta l’idea e avevano aiutato la pubblicazione, si ricordano solo Berardo Impegno e Attilio Wanderlingh. Berardo, all’epoca consigliere comunale a Napoli, riuscì a ottenere un contributo dalla COOP per il giornale.
Attilio, che era un affermato giornalista professionista ed era tornato a Napoli alla redazione dell’Unità, convinse Antonio Polito, redattore della redazione napoletana, a firmare i primi numeri del DECOLLO.
In seguito, fu lui stesso a proporre che la pubblicazione della sezione Pci dell’Aeritalia uscisse come supplemento di NDR, una rivista culturale importante, diretta e pubblicata dallo stesso Wanderlingh che firmò poi tutti i successivi numeri del giornale di fabbrica.
Alla collaborazione iniziale con NDR segui anche quella con il giornale catanese, I SICILIANI, che cessò quando la mafia assassinò il suo direttore, Pippo Fava.

Il giornale dei comunisti dell’AERITALIA era stampato in oltre un migliaio di copie, dopo i primi mesi di rodaggio raggiunse una cadenza mensile e una distribuzione capillare in tutti gli stabilimenti campani del gruppo aeronautico.
Gli articoli erano tutti firmati, sia quelli della redazione sia quelli esterni; ogni numero ospitava sempre un intervento del gruppo dirigente centrale del partito. Questa disponibilità non aiutò le relazioni tra la redazione e la Federazione Provinciale del PCI che non sempre condivideva la scelta del dirigente che scriveva l’articolo politico di apertura.
Anche l’uscita del numero zero di lancio creò non poche perplessità perché il giornale si aprì con un intervento del direttore del Gruppo Velivoli Trasporto, l’ing. Amedeo Caporaletti, manager notoriamente non vicino al PCI.
Nonostante le critiche e rilievi, dalla Federazione napoletana non arrivarono mai espliciti ostracismi al giornale. IL DECOLLO, soffrì piuttosto di una disattenzione degli organismi dirigenti locali che forse diffidavano di quella pubblicazione i cui contenuti non erano condivisi con la Federazione stessa.
Il giornale riservava alla politica nazionale, regionale e del territorio uno spazio di quattro/cinque pagine, il resto delle ventidue complessive del fascicolo erano approfondimenti sui temi dell’azienda: il futuro del comparto aeronautico, le nuove tecnologie, la ricerca, l’innovazione, il ruolo dei quadri e tecnici. Molto spazio era riservato alle rubriche per i libri, il teatro e cinema.
Oggi sembra tutto scontato, sono argomenti comuni, eppure allora non era facile proporli in un giornalino di partito, e meno ancora lo era per una pubblicazione comunista di una fabbrica metalmeccanica.
Alcuni anni fa, l’Archivio storico della Fiom di Pomigliano d’Arco recuperò ed espose in una mostra le pubblicazioni delle grandi fabbriche del territorio, dalla fine degli anni 60. La gran parte erano ciclostilati, poco più che volantini, la vita media era sempre stata di pochissimi numeri e i contenuti solo propaganda orientata per lo più agli operai.
Negli anni 80 solo i giornali dei comunisti di PIAGGIO e AERITALIA avevano adottato un modello di sostenibilità economica che garantiva anche la continuità alla pubblicazione. Il giornale dell’Aeritalia si era affrancato anche dai contenuti di mera propaganda che non favorivano le entrate della pubblicità.
All’Italsider non si era andati molto lontano dal “Il Bolscevico” e all’Alfa Sud di Pomigliano D’Arco, alcuni anni prima del Decollo, finanziato dalla Federazione di Napoli, era stato stampato “Il Serpentone” che uscì per una mezza dozzina di numeri.
Il DECOLLO aveva una sezione culturale curata da Nicola Marotta, Guido Di Paolo e Michele Fornaro che erano lavoratori dell’AERITALIA e riconosciuti artisti che si occupano di grafica, teatro, musica e spettacolo.
La copertina di ogni numero del giornale riproduceva una foto di Henri Cartier-Bresson, perché durante una mostra a Napoli delle opere del fotografo, era stata chiesta e ottenuta dall’agenzia che ne aveva i diritti, la possibilità di pubblicare gratis dodici foto che riproducevano ambienti del lavoro operaio.
Su Il DECOLLO scrissero tra gli altri, Biagio De Giovanni, Giuliano Cazzola allora dirigente CGIL, e in remoto collaborava – dettando per telefono i suoi articoli – lo scrittore Luigi Compagnone.
Rilasciarono interviste esclusive anche Pino Daniele, Roberto De Simone e il regista Ettore Scola.
Una libreria del Centro Storico di Napoli distribuiva copie e applicava sconti ai lettori del giornale.



Il Decollo, Walter Veltroni e Fabio Mussi
Ogni mese una copia era spedita alla Direzione del PCI, e dopo una decina di numeri la redazione fu invitata a Roma. A Botteghe Oscure ci fu l’incontro con un giovanissimo Walter Veltroni che, nominato da poche settimane responsabile per la comunicazione, voleva meglio conoscere il DECOLLO.
Il Partito voleva lanciare su scala nazionale le pubblicazioni minori: quelle di sezioni territoriali, di fabbrica e di piccole località. Per favorirne la nascita e la diffusione, Veltroni aveva ottenuto anche un investimento per allestire una piccola tipografia, con impianti del tutto nuovi, da destinare alle pubblicazioni locali di tutto il territorio nazionale.
Per i redattori de Il DECOLLO seguì nei mesi successivi un invito di Fabio Mussi a presentare il giornale di fabbrica in un convegno nazionale a Pisa. Era il gennaio del 1985 e la trasferta si prolungò per tre giorni perché la città toscana si svegliò coperta da tanta neve che fu impossibile per tutti rientrare a casa.
Il giornale dell’Aeritalia continuò a essere stampato da una piccola tipografia di Brusciano. I comunisti avevano inaugurato un efficace canale di raccordo con la comunità di fabbrica, e, infatti, la direzione aziendale, per volontà di Caporaletti, dal 1986, con un investimento di 200 milioni di lire, pubblicò per alcuni anni un proprio giornalino di quattro facciate per tutti i dipendenti. Il CRAL pensò di fare altrettanto con ALBATROS, un fascicolo che richiamava il formato e la grafica del DECOLLO.
Il logo del giornale dei comunisti dell’Aeritalia, AEROUCCELLO creato dal grafico Fornaro, è oggi molto noto nelle imprese e tra gli appassionati e gli operatori aeronautici.
E’ stato registrato da Aeropolis, ed è riprodotto in tutte le pubblicazioni dell’associazione napoletana dell’aerospazio che lo scorso anno ha superato il milione di lettori.

LA RICERCA SUI LAVORATORI AERITALIA
Il progetto di una ricerca sociologica sulle aspirazioni e gli orientamenti dei dipendenti dell’azienda fu, nel 1985, una delle iniziative più importanti della Sezione PCI di AERITALIA.
Erano passati cinque anni dalla sconfitta sindacale della Fiat. Nel pieno della vertenza, febbraio 1980, a Torino alla Conferenza nazionali dei comunisti furono presentati i risultati di una ricerca che avrebbero dovuto individuare e rappresentare le condizioni di lavoro e le opinioni dei lavoratori Fiat.
Dopo pochi mesi ci fu la marcia dei quarantamila e quella fine della vertenza smentì clamorosamente i risultati del sondaggio del PCI torinese. L’inaffidabilità dei risultati della ricerca era nella sua strumentalità: era stata promossa al fine di dimostrare la validità delle tesi che il PCI e il sindacato torinese avevano condiviso durante la vertenza sindacale con il gruppo automobilistico.
La vicenda Fiat e la sconfitta politica che ne conseguì per il partito e il sindacato, ebbero un peso enorme nella trasformazione delle relazioni industriali. L’anno successivo furono ripetute sia la conferenza dei comunisti Fiat che la ricerca, riconoscendo l’errore che quella precedente era stata condotta con approssimazione perché orientata ai soli operai e priva di un campione affidabile.
I comunisti dell’Aeritalia di Napoli, spinti evidentemente da una grande fiducia/presunzione nelle loro capacità, pensarono possibile mettere in piedi una ricerca di massa che – considerando gli errori del progetto Fiat – servisse a individuare analiticamente le aspirazioni, le speranze, l’orientamento culturale e politico della complessità dei lavoratori della loro azienda; un lavoro che fosse utile all’intero sindacato e al partito per capire come la modernizzazione del mondo delle imprese stava cambiando radicalmente il paradigma della rappresentanza, del modo di vivere e di rapportarsi al lavoro nella fabbrica moderna.
Nella direzione Risorse Umane all’Aeritalia, l’organizzazione del lavoro era affidata a un nuovo ufficio, dove erano arrivati giovani sociologi, diversi di loro erano di simpatie o formazione comunista; furono tutti coinvolti nel progetto perché si voleva dare valenza scientifica e non solo politica al progetto.
Furono impegnati il direttore scientifico dell’IRES-CGIL, Enrico Pugliese, docente della Facoltà di Sociologia dell’Università di Salerno e Amato Lamberti docente della Facoltà di Sociologia dell’Università di Napoli.
Dopo diverse riunioni fu decisa la roadmap e la timeline del progetto: l’iniziativa sarebbe stata della sezione di fabbrica del PCI, i professori universitari avrebbero lavorato ai questionari e analizzato i dati elaborati da un software statistico che solo Aeritalia aveva allora in Italia.
I ricercatori dell’IRES avrebbero pubblicato tutto il materiale dello studio.
La distribuzione e la raccolta dei questionari nei reparti e negli uffici l’avrebbero fatta i militanti della sezione che avrebbero dovuto individuare i lavoratori con le caratteristiche richieste dai sociologi nel modello del campione da intervistare.
L’iniziativa era sicuramente ambiziosa e rischiosa; coinvolgeva troppe persone e l’azienda non avrebbe facilmente acconsentito che un gran numero di suoi dipendenti fosse impegnato nell’iniziativa, ragion per cui, la direzione aziendale e la Federazione comunista napoletana furono ufficialmente informate del progetto quando era tutto pronto e le locandine erano state affisse in tutte le bacheche sindacali dell’AERITALIA.
Il progetto durò un intero mese, maggio 1985, e nelle attività furono coinvolti un quarto dei dipendenti totali dell’azienda, un migliaio tra operai, impiegati e dirigenti, selezionati per età, esperienze lavorative, funzione e titolo di studio.
I risultati i commenti e le valutazioni, che sono ancora disponibili, furono analizzati da Lamberti e Pugliese; durante la presentazione dei dati fu detto che per gli obiettivi, per il campione e le modalità con cui era stata condotta la ricerca, quel progetto aveva non solo affidabilità e valenza scientifica ma si trattava sicuramente della prima esperienza del genere in Italia.
Il gruppo dirigente della Sezione di Fabbrica decise di coinvolgere la Direzione Nazionale del PCI, anche per dare maggiore visibilità alla ricerca. Fu ottenuto un incontro con il sociologo Aris Accornero che presiedeva il CESPE (Centro Studi di Politica Economica del Pci), al quale fu chiesto di valutare i risultati e partecipare alla presentazione ufficiale.
Quando ad Accornero furono presentati le tabelle e i grafici ottenuti dal SAS, il software statistico che aveva elaborato i dati, la risposta fu che lui non era abituato a lavorare con disegni di barre e torte colorate prodotte da un elaboratore elettronico.
Non esistevano ancora l’informatica di massa e i personal computer.
I risultati dello studio in AERITALIA furono invece ripresi poi da riviste specializzate e discussi nelle università campane perché i sociologi ritennero che da quella ricerca fossero emersi aspetti nuovi e di notevole interesse sull’orientamento delle nuove generazioni di lavoratori delle fabbriche metalmeccaniche. Una pagina nuova della storia del mezzogiorno nella quale emergevano orientamenti del movimento operaio che lasciavano sullo sfondo lo scontro ideologico perché l’organizzazione taylorista cedeva il passo a un modello in cui anche il lavoratore ritrovava spazio per identificarsi.
A Napoli, alla manifestazione pubblica di presentazione ufficiale degli elaborati promossa dal PCI Aeritalia, parteciparono lavoratori dell’azienda, studenti e specialisti universitari, una rappresentanza ai massimi livelli dell’azienda, guidata dall’Ing Caporaletti, e diversi sindacalisti, tra i quali Giancarlo Canzanella, Direttore IRES e Gianfranco Federico, sociologo e segretario provinciale della Fiom.
Nessuno dei dirigenti cittadini o provinciali del PCI invece ritenne di dover partecipare a quell’evento che si svolse nella sala dei convegni del Jolly Hotel di Piazza Municipio, in pratica a pochi metri dalla Federazione del PCI di Via Dei Fiorentini.

EPILOGO
Ai comunisti dell’AERITALIA si poneva il quesito se trasferire nell’azione politica gli orientamenti che erano emersi a sorpresa anche nell’inchiesta, oppure, continuare con quella suggerita dalla narrazione della cultura comunista.
Il partito napoletano era fortemente orientato da una formazione operaista; decidere di guardare avanti avrebbe significato per il gruppo dirigente Pci della fabbrica di Pomigliano D’Arco l’isolamento dal vertice territoriale. L’epilogo non poteva essere che quello che poi ci fu: l’abbandono del gruppo dirigente dall’impegno politico per quello lavorativo e professionale e lasciare in un angolo della memoria quell’esperienza che pure aveva segnato tutti loro.
Il nuovo gruppo dirigente della fabbrica che subentrò era molto rappresentativo del territorio di Pomigliano e paesi circostanti e rapidamente si allineò alle posizioni politiche della Federazione di Via Dei Fiorentini.
Di quella vicenda, di quando i comunisti avevano avuto la pretesa di governare la fabbrica, si riparlò nei primi anni 90, quando, in una situazione profondamente mutata, l’azienda aveva deciso un pesante ridimensionamento degli impianti napoletani.
Si scatenò a Pomigliano D’Arco un’aspra vertenza sindacale, lo scontro degenerò in una lunga stagione di blocchi stradali e occupazione dello stabilimento di Pomigliano D’Arco; allora chi era stato tra i protagonisti di quella passata stagione dei comunisti della fabbrica, almeno quelli che avevano posizioni di rilievo nel management del gruppo aeronautico, furono oggetto di feroci e gravi attacchi personali.
La natura dello scontro sindacale, che conteneva anche tutta l’amarezza e la delusione personale e ideale di molti militanti comunisti e dirigenti sindacali della CGIL, portò questi ad additare come nemici e traditori coloro che i loro stessi ideali li avevano vissuti e condivisi nello stesso progetto politico.
Quella dell’Aeritalia è una storia minore, piccola, e tuttavia gigantesca di fronte alle vicende della politica degli ultimi anni e alla miseria umana dei personaggi d’operetta che esprime ciò che resta ancora in vita di quella storia che ha visto milioni di persone, e non solo gli operai dell’industria, cercare riscatto personale e sociale.

Antonio Ferrara






N.d.A. Le tesi riportate in questa nota sono la ricostruzione è l’interpretazione dei fatti del tutto personale dell’autore. E’ benvenuto qualsiasi contributo di conoscenza e di analisi di chi è informato sui fatti narrati.
Email: ferrara@aeropolis.it
L’autore del testo non è uno storico, è un giornalista, analista di mercato aeronautico e presidente dell’associazione Aeropolis – E’ stato Segretario della Sezione PCI AERITALIA (1982-86) e nella seconda metà degli anni 2000, segretario di circolo, dirigente nazionale e regionale per i Democratici di Sinistra.
Nel testo, per scelta di chi scrive, i riferimenti a persone sono solo per personaggi pubblici.

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