Cominciamo dalla fine. Era il 21 dicembre del 1984, quando il vicedirettore de l’Unità ci venne a dire che destinazione avremmo avuto. Le pagine di cronaca erano chiuse dall’agosto e a Napoli, ci venne detto, saremmo rimasti solo Luigi Vicinanza e il sottoscritto, assieme a Mario Riccio e a Rosaria Paolillo. Il sabato 22 dicembre, Luigi ed io ci trovammo davanti a una stanza vuota e ad un lavoro ridotto, anche sul fronte della camorra. I nostri compiti erano ben definiti: Politica, Economia, Sindacale erano di competenza di Vicinanza. Io avevo come zona di competenza la cronaca, la camorra, la giudiziaria. Ma eravamo interscambiabili, nel senso che tutti e due facevano, alla bisogna, tutto. Dopo qualche anno, sarei rimasto solo e Luigi sarebbe andato a Roma e Mario Riccio da fotografo sarebbe diventato un redattore, mentre Rosaria sarebbe stata assunta da Repubblica.

Domenica 23, andai a vedere l’incontro di pallacanestro tra Napoli e Milano. L’incarico me lo aveva dato Gianni Cerasuolo, all’inizio di settembre visto che non c’era più cronaca e la Campania aveva due squadre (Caserta e Napoli) in alta classifica (Caserta avrebbe vinto lo scudetto di lì a qualche anno). Ero al telefono coi dimafoni per dettare l’articolo, quando Marcella Ciarnelli interruppe la comunicazione e mi avvisò che c’era stato un attentato ad un treno, il rapido 904, con numerose vittime. Corsi a Napoli e in una stazione deserta, riuscii a sapere dai ferrovieri in servizio cosa fosse successo, quante vittime c’erano (alla fine saranno sedici, 15 morte per l’esplosione, una deceduta in seguito). Quel giorno non scrissi nulla. Comunicai, a sera inoltrata, verso le 11, al giornale le notizie che avevo raccolto sull’attentato nella grande galleria dell’Appennino, subito dopo la stazione di Vernio. Allora non lo sapevamo, ma, come poi ha appurato la Commissione stragi, quella strage è stata antesignana e precursore delle stragi di mafia. La Vigilia di Natale, Vicinanza ed io ci trovammo a dover lavorare su questo evento. Il rapido 904 partiva da Napoli. Napoletane buona parte delle vittime. Nell’attentato erano coinvolti esponenti della mafia, ma anche neofascisti e, anche, un clan della camorra. Proprio perché l’Unità era stata la punta di diamante nella lotta alla criminalità organizzata ricevemmo una soffiata. Un informatore della polizia aveva dato una fumosa indicazione su un possibile attentato che sin sarebbe verificato nei giorni di Natale. Indicazione vaga, che risultò poi veritiera. Quella Vigilia è stata l’unica in cui in giornali si sono stampati, per permettere il giorno successivo di essere in edicola. Lavorammo fino alle 20, poi in una città deserta, Vicinanza mi diede un passaggio a casa di mia suocera per permettermi di tornare a casa. Anche se con un punto interrogativo avevamo la notizia della soffiata fatta dall’informatore.

L’interesse verso i fenomeni della camorra alla redazione de l’Unità era cominciato negli anni 77-78. Gli attentati al pretore di Ottaviano, l’uccisione dell’avvocato Cappuccio, alcune stragi con tre o quattro morti, cominciarono a attirare la nostra attenzione. Erano anche gli anni del terrorismo (una cellula terroristica venne scoperta a Licola in pieno rapimento Moro il 7 aprile del 78) e alla camorra si dedicava, in quegli anni, poca attenzione. Poi nel 1979 cominciarono alcuni omicidi significativi, dopo un agguato ad un nipote di Michele Zaza (contrabbandiere legato alla mafia siciliana che riceveva i giornalisti che lo volevano intervistare in uno studio di santa Lucia dislocato sopra un bar) alla fine del dicembre del 78. Quell’agguato dette in via alla mattanza. Io, che come scrive Rocco di Blasi, avevo una scrittura ruvida (voglio vedere come si fa a scrivere in maniera soffice e lieve di omicidi, stragi e violenze varie), ma avevo una passione per archiviare tutto quello che poteva essere utile (come mi aveva insegnato Nora Puntillo). Poi sui racconti di Giulio Formato, di Geppino Mariconda e Sergio Gallo, avevo appreso i particolari della guerra fra siciliani e marsigliesi, lo sviluppo del contrabbando (centomila “addetti” nel settore, la Fiat partenopea). Erano gli anni in cui la cronaca nera non era ritenuta in gran conto nel giornale ed anche nelle nostre pagine. Dalle sezioni del Pci giungevano segnali diversi, di grande preoccupazione per i fenomeni criminali. Una espansione del racket delle estorsioni, numerose minacce a sindacalisti e esponenti comunisti, una fabbrica presidiata dagli operai per scongiurare attentati. Poi uno sciopero dei contrabbandieri contro la Guardia di Finanza a Torre Annunziata. Che solo noi raccontammo a tutto il paese. Una sera Di Blasi mi chiese: “Ma cosa sta succedendo nella malavita?” Non me lo feci ripetere due volte e in archivio sfogliai pagine per pagina ed arrivai a contare 87 omicidi avvenuti nel 1978. Venti o trenta in più dell’anno precedente. A metà del 1979, giorno dopo giorno, erano già auna ottantina. Uno ogni due giorni. Chiesi a due colonelli dei carabinieri cosa stesse succedendo nella malavita. “È scoppiata una guerra nella camorra”, mi risposero. Un articolo a tre colonne su l’Unita, una pagina su Panorama (collaboravo dal 1977 con questa rivista) con la notizia alla quale, però, credevano in pochi. La camorra per tanti inviati restava un fenomeno folkloristico. Enzo Peres, il cronista di nera per antonomasia del Mattino, mi incontrò e mi disse che avevo ragione. “Anche io ho questa notizia – aggiunse – ma al mio giornale non me la fanno scrivere”. Furono in quei giorni che la camorra da quell’articolo a tre colonne uscì dal folklore. Dalle nostre pagine emergeva il quadro non solo di una camorra aggressiva, ma anche legata ad una parte del mondo politico. Finalmente la guerra fra Nco di Cutolo e i clan avversari non era un fatto marginale.

Nel corso degli anni l’Unità si è fatta promotore di tante iniziative di lotta al crimine. E mano, mano emergevano contatti, inquinamenti con la cosa pubblica. Ottaviano, il paese di Cutolo, divenne il simbolo della lotta alla malavita. Ci facemmo promotori di un sondaggio di massa sulla camorra (oltre 20.000 le schede compilate) che ci permisero di scoprire cose davvero singolari (la caserma dei carabinieri di un centro, molto esteso, ad alta presenza camorristica aveva a disposizione solo delle biciclette per spostarsi e andare sui luoghi dei crimini). Poi il terremoto, gli interessi economici, la commistione una parte della politica politici e la malavita. Mettemmo a nudo l’indegna trattativa fra apparati dello stato, militari per la liberazione di Cirillo. Nelle pagine di cronaca pubblicammo un dossier sulla camorra stilato della Questura di Napoli. Conteneva circa seicento nomi di camorristi divisi per appartenenza alla NCO o ai suoi avversari divisi quartiere per quartiere. Un dossier che ebbe solo una smentita da parte di uno dei seicento: ci scrisse che era un “artista del borseggio e del furto in pensione” e che non era mai stato un camorrista. Tra grandi risate la pubblicammo. Come schiacciasassi andavamo avanti nel cercare di mettere a nudo i rapporti fra politica e camorra. E ricevemmo i complimenti di Berlinguer per il lavoro che stavamo facendo. Poi i servizi deviati, informatori al soldo di quella parte deviata della politica, ce l’hanno fatta pagare cara. Hanno fornito ad una nostra giornalista romana un documento falso sul caso Cirillo che venne pubblicato, minando la nostra credibilità.  Nonostante questo, abbiamo continuato nella nostra battaglia, aiutati dal Regionale del Pci, da tanti compagni, dai componenti della commissione antimafia. Così ci siamo trovati nell’occhio del ciclone, ma nessuno proprio nessuno allora si è tirato indietro. Nell’82, alla fine di aprile un articolo sulla cella di Cutolo ad Ascoli Piceno, ripreso da Enzo Biagi su Repubblica il giorno dopo, fece andare su tutte le furie il presidente Pertini e Cutolo in poche ore finì all’Asinara in isolamento totale. La battaglia contro la camorra è continuata. Franco Di Mare entrato in redazione nell’80 trova indicazioni sul sequestro Dozier. Maddalena Tulanti, Federico Geremicca, Vicinanza, Demarco, Polito, Mirabella, Riccio nessuno si tirava indietro se si trattava di scrivere della malavita. E ai redattori si aggiungevano i corrispondenti, il compianto Silvestro Montanaro e Fabrizio Feo, che è sulla cresta dell’onda a raccontare cose di malavita. Resta il fatto che nell’83 e nell’84 coi grandi blitz contro la malavita alla camorra venne dato un duro colpo.

Quella della lotta alla camorra è una storia lunga, contorta, difficile. Una volta andato in pensione ho abbandonato la scrittura “ruvida”. Ho cominciato a scrivere romanzi sulla camorra per rendere più facile da capire questo fenomeno. E parto dalle pagine de l’Unità e dal mio archivio che qualcuno definisce “poderoso”. Scomparso il giornale, continuo ad archiviare e a rileggere le pagine del l’Unità. La lotta alla camorra, almeno per me, non è finita.

Vito Faenza

Print Friendly, PDF & Email

3 commenti

  1. Caro Vito ho scritto anche che eri un infaticabile cercatore di notizie. E il tuo pezzo lo conferma. Mo non te la tirare con questo ‘ruvido’ per l’eternità.

  2. Grandissimo Vito, Grande Maestro meritavi di più

  3. Grandissimo Vito, Grande Maestro meritavi di più

Rispondi a Rocco Di Blasi Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *