DISCUSSIONE – SEDUTA DEL 24 MARZO 1950


LA ROCCA
. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LA ROCCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo la celebrazione del martirio delle Fosse Ardeatine, mi sia consentito di ricordare un altro lutto, che ci colpisce, in altro modo, di vivo dolore.
Ieri Napoli, silenziosa e commossa, si è raccolta intorno ad una bara, come se in quella bara fosse stato chiuso il suo cuore. Donne, uomini, adolescenti, fanciulli, usciti dalle case, dalle botteghe, venuti fuori dai labirinti dei vicoli, dal dedalo delle viuzze, si sono assiepati nelle strade, come per accompagnare, con l’aroma delle loro lacrime, il fratello, l’amico, che ,attraversava la città per l’ultima volta, fra le dolci cose di primavera, e pareva che, nell’andarsene per sempre, portasse via con sé qualcosa di ognuno di loro.
Perché Raffaele Viviani, il biografo degli umili, il rapsodo degli scugnizzi, il pittore, lo scultore, il poeta della, povera gente, è stato il violino sulle cui corde la città stupenda ha per tanti anni cantato; sulle cui corde, ha detto la sua miseria, la sua passione, il suo affanno, e il suo perdimento anche e il suo oblio; sulle cui corde ha levata la sua anima, che si spiega, talvolta, come un velo di dolorosa dolcezza, per annodarsi al velo delle costellazioni: anima, nutrita di patimento, che pure la tristezza converte in suo miele, e somiglia ad una mano fraterna, sempre tesa a sostenere, a confortare le disgrazie altrui.
Salvatore Di Giacomo: un’acqua lucente, che fluisce come un sorriso sinuoso fra rive velate di malinconia, o una fontana incantata: e se, in Assunta Spina, in un quadro di vita napoletana, è ritratta la donna rovente, che ci si appiglia addosso come una fiamma alle vesti, nel Canzoniere è tutto uno splendere di mare e di cielo, e un odorare di selve e un ridere gioioso della città intorno ad una creatura che passa, e pare abbia in sé i fiori di tutti i giardini.
Viviani, nella Tavolozza, è anche questo, la melodia che accompagna l’abbandono dell’anima ed è dell’altro ancora: è un’orchestra multanime, piena delle mille e mille voci del popolo, fuse in un coro, che è la voce di una gente, che stenta e soffre, e, pur seminuda, è beata, per sentirsi correre nelle vene una soave vita, beata di vivere immersa nell’oro del sole, come nel suo elemento natale.
Giacinto Gigante, Edoardo Dalbono hanno estratto i colori dai fiori, dalle gemme del mare, dall’aria, per dipingere la loro terra, incinta di sempre nuova bellezza, per rappresentare la città stupenda, che si solleva in un impeto di ascensione fino alla collina del Vomero, o si piega a rimirarsi, nello specchio dell’acqua, e allarga le braccia rosee a stringere la meraviglia del golfo, sul quale il Vesuvio fuma; Vincenzo Migliaro, mescolato alla folla, ha colto della folla l’anima schietta e l’ha fermata con segni incancellabili, in una serie di quadri; Vincenzo Gemito, il profeta chiomato e barbato, uso a lavorare nel guizzo dei lampi mentali, quest’anima popolare ha modellato nella creta, ha sbozzato nel marino, ha gettato nel bronzo.
E Viviani ha tradotto i colori, i segni, i gesti di quegli artefici nelle parole; ed ha portato Napoli sulla scena. Nato dal popolo, alla fame implacabile degli occhi veggenti, aperti su tutto, ha aggiunto, per lungo tempo, la fame bruta, che torce le viscere.
Cresciuto alla scuola della rinunzia, della sofferenza, egli ha sentite, e portate in sé, le pene, gli struggimenti, i deliri di una umanità che gli si muoveva rumorosa intorno, vivendo di poco, contentandosi quasi di nulla, avendo gioia da tutto, anche da un filo d’erba che trema: obbligata, da un insieme di circostanze, ad intricarsi in una rete di espedienti per non morire di fame; legata con tutte le fibre dell’essere alle pietre dei suoi «bassi», ai ciottoli dei suoi vicoli, alle immagini sante nei tabernacoli che ardono di lumi all’imbocco di certe strade, ai fiori di seta sotto le campane di vetro, sui canterani, e innamorata ed ebbra delle sue feste, dei suoi costumi, delle sue tradizioni e della bellezza della sua città, divinamente modulata dalla voce glauca delle sirene.
Era carne e sangue di Napoli: un sapore, una musica, e lo sfogo, e la denunzia anche della sua gente, delusa, tradita, ingannata, che, triste, contava le croci che s’infoltivano nel cimitero della sua anima, per le ingiustizie ch’era costretta a sopportare.
Di qua, tra smorfie caricaturali, una straordinaria varietà di bozzetti, che riproducevano sulla scena figure colte nella babele dei marciapiedi, nel fumo dei caffè, nel chiasso delle cantine, tra la noia dei salotti, nell’intimità delle case: una galleria di ritratti che sentivano del verismo dei Malavoglia di Verga, che salivano, talvolta, alla potenza espressiva di un Tolstoj, nel riflettere come uno specchio, la realtà di un ambiente.
Il venditore d’acqua, che riempie del suo grido l’aria mattutina, seminatrice di perle, o l’arsura dei meriggi brucianti; il cieco, che suona sull’organo del suo dolore e della sua povertà; il pescatore di sotto agli sbattimenti della vela che canta con una gonfiezza gioiosa; lo «scugnizzo»: cioè un guizzo di luce vestito di membra umane, che asciuga con lo sguardo i prosciutti nelle botteghe, che si nutre dell’odore degli arrosti, che sale dalle cucine degli alberghi e delle trattorie, che insegue l’alba che fugge sui tetti: lo scugnizzo, grande come Gavroche di Hugo, che, nell’ora decisiva, rivelerà la sua essenza, andando, con un pugno di paglia accesa, contro le testuggini di ferro dei carri armati tedeschi e sarà una fiamma intelligente ed eroica nelle giornate della riscossa.
Poi, di là dalle «macchiette», Viviani giungerà a rappresentazioni più larghe, relegando in soffitta le storie di Rinaldo, della camorra, di Pulcinella e le rielaborazioni francesi del teatro di Scarpetta. Nella Campagna napoletana vi è come un aroma di terra, scossa, che fa pensare all’aroma del giardino dei ciliegi nella commedia di Cechov.
In Fatto di cronaca C’è la vertigine che afferra un innocente e lo precipita dalla finestra, per il terrore della polizia, come per ammonire, con France, che, ad aver paura della. .. sbirraglia, non è necessario essere colpevole, ma basta … aver paura.
E Piedigrotta, Montevergine, ecc., sono stupendi affreschi di folla, rappresentazioni crude e vive.
Prego l’onorevole Presidente di esprimere il cordoglio della Camera- alla figlia dell’artista scomparso, che è una nostra collega, alla famiglia dell’estinto e anche al sindaco di Napoli, per un lutto che colpisce il nostro teatro, per una chiara voce, che si è ammutolita, e che era la voce della stupenda città, che un giovanile poeta straniero, ebbro della bellezza e delle sventure d’Italia, in una magnifica ode, in cui dalla rappresentazione dei lidi elisii saliva con impeto lirico ad un inno di speranza e di libertà, chiamava un immenso cuore che palpita, sotto gli occhi del cielo senza palpebre. (Vivi generali applausi).
PRESIDENTE. Aderendo all’invito dell’onorevole La Rocca, invierò le condoglianze della Camera all’onorevole Luciana Viviani.

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  • L’immagine in evidenza è un particolare della copertina del Libro Raffaele Viviani Poesie edito da Guida
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