Era il 21 novembre del 1960 quando, a 22 anni, entrai nella redazione de L’Unità all’Angiporto Galleria a chiedere di fare volontariato (era lunedì, il sabato prima mi ero laureata in Filosofia, decisa a non fare l’insegnante come volevano i miei). Fui accolta con un grande sorriso da Francesca Spada della quale leggevo avidamente i resoconti dei processi, con gentilezza da Renzo Lapiccirella capocronista. Mi conosceva Andrea Geremicca, cronista al quale mesi prima avevo segnalato una odiosa speculazione edilizia: il Comune cedeva gratis ad un costruttore un vasto suolo con cinque padiglioni e un grande giardino adibiti a scuola per l’infanzia in via Giacinto Gigante, per edificarvi un palazzone di sei piani, con una piccola parte destinata a sede municipale dell’Arenella. Avevo anche portato una grande foto del complesso, scattata dal terrazzo di copertura dello stabile in cui abitavo, stampata a mie spese (paghetta paterna). Fu pubblicata con una didascalia in cui si riportava la protesta per l’evidente abuso che privava i bambini della scuola d’infanzia, che io stessa avevo frequentato. Scuola e giardino scomparvero sotto il cemento. Come stava accadendo in tutta la città ovunque ci fosse un fazzoletto di verde, pubblico o privato.

1963. L’edizione straordinaria de l’Unità per l’avanzata del PCI alle Politiche


Pochi mesi dopo il mio arrivo, Renzo Lapiccirella e Francesca Spada furono mandati a Roma (lui all’archivio del PCI, lei nella sede centrale de L’Unità), causa dissensi politici per me oscuri con la locale dirigenza comunista. Mi toccò il tavolo con la macchina da scrivere di Francesca, e poco dopo arrivò quel giorno amaro in cui la piangemmo, suicida. Andai alla loro casa ai Camaldoli insieme ad Andrea, sgomento e lacrime che non dimenticherò. Capocronista per un paio di anni Aldo De Jaco, poi Geremicca; io dopo oltre un anno di volontariato gratuito (ore 9-19) fui assunta come impiegata. Con la mia auto (finalmente potevo rimborsare, a rate, mio padre) andavo a caccia di abusi edilizi con il fotografo Franco Feliciotti, talvolta fotografando da sola. Ho trovato nel mucchio di ritagli la foto della targa marmorea che ricordava il regolamento edilizio: “vietato edificare a meno di trecento metri dall’ospedale”. E stavano edificando a meno di venti metri…! In Comune avevano cambiato i colori nelle tavole del Piano Regolatore, tutte le zone verdi erano diventate edificabili, le licenze edilizie (quando c’erano) erano “legali”. Ricoperta di cemento e di asfalto, la città era in pericolo, diventavano fragili le fognature con lo spaventoso sovraccarico di acque piovane e private che spettava invece alle aree verdi accogliere e lentamente smaltire. La borghesia imprenditoriale del laurismo e della Dc stava assassinando Napoli con l’addensamento edilizio che si sarebbe in pochi anni tramutato in epidemia di colera, diseconomie, paralisi della circolazione, e nella ripugnante sequenza di crolli, voragini, vittime. Gli articoli de L’Unità furono gran parte del dossier presentato alla Direzione generale dei Lavori Pubblici da una delegazione del PCI (ne feci parte) capeggiata dal famoso urbanista e progettista Luigi Cosenza. Dossier che alla fine degli anni 60 fu decisivo perché il Consiglio Superiore cancellasse dal progetto di Piano Regolatore tutti favori che la DC voleva ancora fare ai costruttori.

1964 Tra le operaie delle Cotoniere


Divenni professionista con la prima sessione di esami indetta con l’istituzione dell’Ordine dei Giornalisti, che fino al 1965 venivano iscritti ad un “Albo”. Mi occupavo anche di cronaca giudiziaria. L’Unità era un giornale autorevole, anche se non poteva competere nelle vendite con i quotidiani locali; era confortante essere accolti nelle sezioni del Partito Comunista della città e dei paesi, nelle cellule di fabbrica, da dove spesso provenivano segnalazioni importanti. Ci ritenevano loro difensori e paladini.
Sentirsi parte di un simile immenso collettivo quale il Partito e il suo organo ufficiale era sensazione rassicurante, che rafforzava ogni impegno. Ci trasformavamo in diffusori dell’Unità alle 6 del mattino all’ingresso di fabbriche; spesso il sabato, ma sempre una volta l’anno diventavamo facchini per il trasbordo dell’enorme quantità di copie che la notte del 30 aprile (vigilia del 1°Maggio giorno di grande diffusione) nella stazione di Aversa bisognava rapidamente scaricare (un centinaio di grossi pacchi) dal treno proveniente da Roma e in proseguimento per Salerno, e caricarle altrettanto presto su quello in coincidenza diretto a Napoli. Lavoro che non si poteva pretendere dai soli due ferrovieri addetti ai rispettivi vagoni postali, e che per anni ci impegnò assieme agli “Amici de L’Unità” organizzati dall’infaticabile Gennaro Pinto insieme a Giovanni Fanelli. Per tutti il compenso era mezzo pollo arrosto, insalata e un bicchiere di vino all’osteria. Era amministratore del giornale, Gennaro, ex partigiano contro i nazisti in Albania (dove sposò la figlia di un capo villaggio), scout di artisti per le “Befane de L’Unità”. Gli spettacoli che annualmente accompagnavano i doni ai bambini di famiglie segnalate dalle Sezioni, hanno tenuto a battesimo non pochi artisti poi divenuti noti e famosi (fra i tanti, Fausta Vetere, poi Compagnia di Canto Popolare). Noi de L’Unità facevamo un po’ paura e un po’ invidia alla “concorrenza”: colleghi ci confessavano di avere le mani legate, parlavano di squallide censure (“gli scandali potete denunciarli solo voi…”). Riscuotevamo fiducia da urbanisti, clinici, scienziati, magistrati, e questo ha consentito parecchi scoop, notizie importanti che venivano riprese dagli altri giornali. Come l’indagine tenuta segreta sui pericoli nel sottosuolo nel 1967, le scandalose licenze edilizie del ’79, il sollevamento del suolo di Pozzuoli nel ’70. Nel ’78 seppi dell’imminente scarcerazione di uno dei condannati (ergastolo) per la strage di Portella delle Ginestre (Sicilia, 1°maggio 1947, la banda Giuliano al servizio degli agrari latifondisti sparò sui lavoratori in corteo, 11 morti di cui due bambini). Esitai. Poi mandai il pezzo al direttore e L’Unità, in esclusiva (condivisa con L’Ora di Palermo nel pomeriggio), pubblicò con evidenza e senza negativi commenti la notizia della liberazione di Franco Mannino. Motivi: 30 anni di buona condotta, ritorno puntuale nel carcere dopo ogni permesso, testimone di Geova, due figli nati cresciuti laureati in una città del Nord per evitare ogni mafiosità.

1968 Crollo e proteste in Via Camillo Cucca


L’Unità di Napoli si trasferì prima in via Toledo (allora via Roma) e dopo un paio di anni in via Cervantes 55. Palazzo in cui trovò sede anche il quindicinale “La voce della Campania” fondato e diretto dall’infaticabile Ennio Simeone capocronista de L’Unità fino al ’76, poi a Paese Sera quindi direttore di vari giornali regionali, adesso di “Altro Quotidiano” on line. La redazione de L’Unità era da sempre aperta per chi protestava, chi subiva ingiustizie, chi recava notizie, anche punto di incontro di scrittori, artisti. Ricordo Domenico Rea, Luigi Compagnone, Bepi Lecaldano, Luigi Incoronato; mi avevano raccontato di Enzo Striano che lasciò L’Unità dopo la tragedia di Budapest nel ’56, della frequentazione assidua di Renato Caccioppoli, molto amico di Francesca Spada, delle imprese fotografiche di Ermanno Rea, Luciano D’Alessandro, Mimmo Jodice giovanissimi. La redazione divenne punto di riferimento per gli inviati dei giornali italiani e stranieri, che ci consideravano attendibili depositari non gelosi di notizie importanti. Per niente gelosi lo eravamo davvero, in contraddizione le usanze giornalistiche: a noi interessava dare notizie vere presto e bene, ma anche mettere nella giusta evidenza l’azione del nostro Partito. Alle nostre scrivanie si sono fermati Camilla Cederna, Gianpaolo Pansa, Roberto Ciuni, Alfonso Madeo, Liliana Madeo, Gabriella Parca, e tanti altri. Tradizione di accoglienza proseguita anche quando la redazione divenne ufficio di corrispondenza. Molti anche gli stranieri, li riceveva Felice Piemontese (poi alla Rai), esperto di letteratura francese (a me toccavano russi e tedeschi).
Voglio qui ricordare i compagni di lavoro scomparsi: Giulio Formato ex operaio; Andrea Geremicca capocronista che riuscì a garantire la nostra autonomia, considerata spesso “ribelle” dai vertici locali del Pci; Lina Tamburino economista chiamata a Rinascita, poi corrispondente da Pechino, Aldo Daniele notista politico, Silvestro Amore sindacalista, Franco De Arcangelis cronista e raccoglitore di pubblicità, Sergio Gallo fattorino poi cronista, Mario Riccio fattorino poi fotografo. Sandro Rossi critico musicale, Michele Muro cronista sportivo, Paolo Ricci pittore famoso e temuto critico d’arte e teatro (amico di Eduardo come Valenzi), che mi aveva aiutato nel ‘59 a compilare il giornalino di protesta “Il Vomero”, Rocco di Blasi capocronista che dovette accettare la chiusura della redazione nell’84, Salvatore Crasto contabile delle nostre spese, Antonio Paesano custode usciere autista tuttofare nella sede dell’Angiporto, che all’alba andava a pescare al Molosiglio e all’ora di pranzo, dal suo stanzino con fornelletto, riempiva la redazione col profumo della zuppa di pesce.


Molti che hanno raccontato i loro anni all’Unità di Napoli mi hanno definito “maestra”. Mi ha fatto piacere. Alcuni “allievi” hanno raggiunto i vertici di importanti testate: Marcella Ciarnelli , Vito Faenza e Gianni Cerasuolo a l’Unità, , Federico Geremicca a La Stampa, Antonio Polito e Marco Demarco al Corriere della Sera, Geppino Mariconda e Franco Di Mare alla RAI, Luigi Vicinanza a Repubblica. Ho cercato di chiarire a me stessa i motivi di ricordo così positivi. Emozionati e timorosi, pensavano di doversi difendere, sgomitare, schivare malignità e cattiverie contro i nuovi arrivati. Trovavano invece una che aveva voglia di insegnare e di sollecitare le loro intelligenze perché il “nostro giornale” potesse sempre essere il migliore. M’era spontaneo correggere, a volte con qualche severità. Me lo potevo permettere, non temevo concorrenza perché ambivo soltanto a una carriera “orizzontale”, mi piaceva spaziare dall’Urbanistica al Sottosuolo, dalle Scienze della Terra all’Ecologia, dalla cronaca giudiziaria alle vicende spesso burrascose in seno alla Magistratura. Altrove era (e lo è ancora) prassi comune lasciar sbagliare l’apprendista e il giorno dopo andare dal direttore a dire “guarda questo che stronzata ha scritto”. O tramare congiure e scrivere proteste temendo per le proprie speranze di carriera. Ho visto da vicino questo modo di agire quando ho lasciato L’Unità per diventare capocronista e poi inviata di Paese Sera, e dopo, da caposervizio di alcune testate locali. Non mi sono lasciata coinvolgere, ho piantato in asso “congiurati” e carrieristi. Me lo hanno consentito quei quasi venti anni nella redazione napoletana de L’Unità.

Nora Puntillo

***

TUTTI GLI ARTICOLI PRECEDENTI : https://www.centoannipci.it/category/perr-una-storia-de-lunita-di-napoli/










Print Friendly, PDF & Email

4 commenti

  1. Ancora una volta grazie Nora, ma estra, amica, compagna.

  2. Grazie, Nora, per questa bella pennellata di storia. Una curiosità: in quel palazzo di 6 piani all’Arenella abito io. Ne furono costruiti 7, allora, di piani, l’ultimo abusivo … L’abbiamo scoperto nel 2001, quando il palazzo crollò… Una storia da completare??

  3. Grazie, Eleonora. Ci hai fatto un bellissimo regale con questi ricordi. Sì, ci sei tu con il tuo piglio e il cuore, la passione politica, l’attenzione indefessa per le tematiche sociali, il bene collettivo. Ma ci restituisci pure un ventaglio prezioso di volti, esperienze, scazzi, slanci che abbiamo vissuto. E ci fai fare così un confronto raggelante con il giornalismo di oggi, le redazioni vuote per il covid, i conflitti che tagliano l’aria….Liliana

  4. Un grazie speciale a Nora Puntillo, giornalista moderna, aperta al nuovo, alla cultura della conoscenza, capace di mantenere alto lo sguardo sul rispetto dei valori civili e morali della nostra società, una società chiusa nelle sue certezze, conservatrice, troppo spesso silente… Antesignana di una carriera percorsa secondo traiettorie orizzontali, Nora è fondatamente riconosciuta “maestra” da numerosi e illustri allievi ma, soprattutto, costituisce un esempio per coloro che oggi “dal basso” si accingono ad entrare nel complesso mondo del giornalismo e del lavoro

Rispondi a Roberta Calbi Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *