Mio zio Peppino, centralinista del giornale “Roma”, mi segnalò che il fotografo Michele Saggese cercava un apprendista. Avevo diciotto anni, la fotografia mi affascinava. Saggese, collaboratore di molti quotidiani e riviste, ebbe l’opportunità di trasferirsi in un piccolo locale nel palazzo dell’Angiporto Galleria dove c’erano il Mattino al primo piano e al quarto L’Unità. Nel laboratorio fotografico si entrava dallo stesso corridoio pensile che portava alla redazione de L’Unità. Che cominciai a frequentare per fornire le foto. Conobbi così Andrea Geremicca, da poco padre di Federico, Aldo De Jaco capocronista, Silvestro Amore, Giulio Formato, Franco De Arcangelis, Eleonora Puntillo e Lina Tamburrino arrivate poco dopo di me, gli amministrativi Gennaro Pinto e Salvatore Crasto, l’usciere custode tuttofare Antonio Paesano, e Mario Barà che ogni mattina all’alba con l’arrivo dei giornali in stazione, distribuiva i pacchi prima nelle edicole ferroviarie, poi ai treni della Vesuviana per le edicole della Penisola.
Breve fu la permanenza della piccola agenzia in quel palazzo: Saggese diventò insegnante, Andrea Geremicca mi chiese di rimanere perché a L’Unità serviva un fotografo sempre disponibile e pronto per operare in caso di manifestazioni, lotte sindacali, proteste per la casa ecc. Andrea, oltre che giornalista, era un infaticabile organizzatore della diffusione del giornale nelle fabbriche e nelle sezioni. Anche a me toccava di andare all’alba con i giornalisti, agli ingressi dell’Italsider e di altre industrie, per diffondere il giornale tra gli operai in entrata e in uscita. Con noi c’erano sempre gli “Amici de L’Unità” ovvero decine di volontari organizzati da Giovanni Fanelli e Mario De Simone, che spesso operavano anche nelle manifestazioni di altre città.
Importante (e rischioso) era il mio ruolo durante le manifestazioni operaie, e non solo. Ricordo la violenta carica della Celere con camionette lanciate in velocità, lacrimogeni e manganellate sugli operai dei Cantieri Navali in corteo sul lungomare di Castellammare. Molti operai per sfuggire alle cariche, si buttarono a mare. Ero sui gradini all’ingresso di una palazzina, mi passò davanti una camionetta e il celerino prese la mira centrandomi col candelotto sulla spalla sinistra. Era un periodo di scontri quasi quotidiani. Un corteo di metalmeccanici che si dirigeva verso la prefettura venne caricato frontalmente in piazza Bovio. Con me c’era Benito Visca addetto alla cronaca sindacale. Proprio mentre fotografavo l’assalto degli agenti con i manganelli, un poliziotto mi scippò dalle mani la Rolleicord che Andrea Geremicca mi aveva affidato (all’epoca io non ne possedevo una). Fu l’avvocato e compagno Giuseppe D’Alessandro, attivissimo nelle cause che coinvolgevano cronisti, sindacalisti, operai, subito stilò la querela contro un “ignoto vestito di tutto punto come un celerino…”. La causa dopo anni fu archiviata, e la Rollei restituita, ovviamente senza pellicola. Franco De Arcangelis procurò per me una Yashica con un “cambio pubblicità”. In Tribunale mentre fotografavo l’arrivo di un imputato in manette fra due carabinieri, venni scaraventato a terra da una folla di donne urlanti che tentarono di strapparmi l’apparecchio fotografico. Lo salvai stringendolo fra le gambe. Il maresciallo Intorcia del drappello di PS del Tribunale mi sottrasse a quelle furie, portandomi nel suo ufficio, in salvo ma pieno di lividi e graffi. In Piazza Matteotti durante la manifestazione antifascista di studenti, ero sul piano rialzato davanti alla Posta Centrale, quando esplose una bomba-carta lanciata dai fascisti proprio in mezzo ai ragazzi (uno rimase a terra ferito). Mi riuscì di fotografare la nuvola bianca dell’esplosione, e poi lo studente ferito sul selciato. Andrea Geremicca, capocronista, si complimentò con queste parole: “meriteresti un premio, ma vale per tutte le altre volte che non lo hai meritato…”. La foto mi fu chiesta anche da L’Espresso (settimanale allora in formato di quotidiano) che la pubblicò enorme in prima pagina (unico cimelio conservato, scomparso purtroppo nelle periodiche pulizie di casa).

Fra i ricordi c’è quel pomeriggio in piazza Plebiscito gremita, e Togliatti che non arrivava. La sua auto, sapemmo poi, era bloccata nell’ingorgo provocato proprio dall’eccezionale afflusso al suo comizio! Stava per calare la sera quando lui arrivò. Mi ero arrampicato sulle travi di legno che reggevano il drappeggio rosso del palco e riuscii a fare una panoramica, con tre scatti da affiancare come mi aveva consigliato il fotografo Antonio Grassi, per inquadrare tutta la piazza. Fra i tanti ricordi “fotografici” riemergono spesso l’incontro con Amadeo Bordiga, che fotografai per un’intervista nella sua casa di Formia. Mi emozionò essere in presenza del grande vecchio che era stato fondatore del Partito Comunista d’Italia, ancora energico e polemico. Bella fu l’amicizia con lo scrittore Luigi Incoronato, nata dopo una foto che gli scattai nella redazione di via Toledo: gli piacque tanto che la volle nel risvolto di copertina del suo libro “Compriamo bambini”.
Ennio Simeone, capocronista succeduto a Geremicca, prima di lasciare l’Unità nel ‘72 per andare a dirigere Paese Sera-Napoli, propose a me di passare al settore della diffusione e a Mario Riccio (fattorino che da me aveva imparato a fotografare e stampare) di subentrarmi come fotografo. Finalmente uno stipendio decente, con regolare assunzione. Nuova e complessa esperienza, nella quale fu determinante l’addestramento impartitomi da Gennaro Pinto, prima che si trasferisse anche lui a Paese Sera. L’Unità non si vendeva solo nelle edicole ma pure in fabbriche, sezioni, luoghi di lavoro, e per abbonamento: bisognava gestire il recapito di pacchi in tutte le zone della città e in tutti gli uffici postali. Lavoro complesso nel quale fu importante l’apporto di Claudio Massari, giovane attivista chiamato dal Partito a collaborare alla diffusione.no A me toccò il controllo delle vendite in edicola e il rapporto con le agenzie di distribuzione in tutto il Sud (Sicilia esclusa) coordinandomi con gli addetti alla diffusione di Roma (Luciano Carli) e di Milano (Sergio Guerri).

Per il Festival nazionale de L’Unità del 1976 (concluso dal comizio di Berlinguer alla Mostra d’Oltremare gremita da una folla entusiasta) mi toccò anche di organizzare l’ospitalità per i tecnici provenienti da ogni parte d’Italia per allestire le strutture del grande appuntamento, lavoro che comportò fra l’altro il velocissimo ripristino dell’Arena Flegrea da tempo abbandonata e ricoperta di erbacce. Durante la settimana del Festival curai la gestione dello stand nazionale del giornale, affidato agli Amici de L’Unità, dove c’era una redazione che compilava ogni giorno la cronaca delle attività politiche e spettacolari, degli incontri con le delegazioni dei Partiti comunisti di ogni parte del mondo. Quei decenni a L’Unità sono stati per me una fantastica esperienza di vita, di lavoro, di militanza politica (che rifarei uguale…).

Franco Feliciotti

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1 commento

  1. La storia della nostra famiglia è stata fortemente impregnata dall’esperienza lavorativa di papà “all’Unità”. Non si parlava di colleghi o amici ma di compagni. E poi i festival de l’Unità, alla mostra d’Oltremare prima e alla villa comunale poi, la diffusione. Anni di partecipazione e attivismo.

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