Dai pochi elenchi degli iscritti dei primi anni 50, sfuggiti alla distruzione o alla dispersione nei diversi traslochi della sezione e nell’avvicendamento dei dirigenti, non sempre abbastanza diligenti nella conservazione dei registri, si evincono sia la forza numerica e sia la composizione sociale degli iscritti.

Nel 1951 gli iscritti al Partito erano 230 di cui 10 donne, nello specifico mogli dei dirigenti la sezione. Prevalevano le categorie sociali e le figure professionali tipiche del tempo (agricoltori, muratori, artigiani e manovali generici). Su questi iscritti pesavano i costi della gestione della sezione e delle iniziative che si tenevano in occasione di elezioni o di battaglie politiche su tematiche nazionali e locali. L’impegno per il tesseramento, il cui relativo incasso veniva in parte versato alla Federazione di Napoli, era notevole e svolto con molto rigore. Oltre al costo della tessera, all’iscritto veniva richiesto anche il versamento mensile di soldi per bollini da applicare sulla tessera. Questo faceva sì che i rapporti dei dirigenti con gli iscritti fossero continui, anche se dopo i primi mesi i contributi venivano a scemare. Inoltre c’erano le sottoscrizioni a favore della stampa comunista, in particolare de l’Unità, che avvenivano con tagliandi diversificati per importi e venivano totalmente versati in federazione, che emetteva regolari ricevute. Grande importanza si attribuiva alla diffusione domenicale de l’Unità perché “la lettura del giornale costituiva una vera e propria adesione politica. Il giornale contribuiva a rafforzare le proprie idee, a conformare i contenuti e le opinioni. I contenuti letti divenivano poi oggetto di discussione in ambiti più ristretti : il bar, la farmacia, l’edicola, la piazza, il vicolo, il cortile, il piccolo gruppo erano solo alcuni di essi.”

Si può avere un’idea della vita politica della sezione di quegli anni leggendo le” Memorie di vita e di fede politica” del compianto Pasquale Di Palma. Quel modo di fare politica, con pochi mezzi e tanta fede nell’azione del Partito, considerato lo strumento di cui le classi subalterne disponevano per cambiare le loro condizioni di vita, dà il senso di una dedizione alla causa totalmente ideale e fideistico. Pasquale Di Palma, segretario della sezione dal 1954 al 1977, ricorda”Ogni domenica mi prendevo le mie trenta copie de l’Unità e le portavo a casa dei compagni o presso qualche negoziante amico. Entrai a far parte dell’associazione Amici de l’Unità portando il mio contributo. Organizzavamo gli incontri in tutte le zone del paese avendo in ogni area un capogruppo. Tenevamo riunioni fino a tarda notte ……….Eravamo un gruppo molto impegnato……….Allo scopo di fare proselitismo un giorno camminammo per tutto Rione Trieste, Malatesta, Madama Fileppa( zone periferiche del paese) e pur incontrando tanti simpatizzanti, il risultato fu di una sola tessera.”



In quel tempo i dirigenti provinciali mantenevano uno stretto e costante rapporto con le sezioni della provincia. Si tenevano periodiche riunioni col “compagno della federazione” (per la sezione di Somma passavano compagni diventati poi famosi come Mario Palermo, Massimo Caprara, Renzo Lapiccirella, Luciana Viviani, Giuseppe Romita, Emilio Sereni ed altri). Il lavoro politico, fatto di mobilitazione e propaganda sui temi politici nazionali e locali portò il PCI ed il PSI alle elezioni comunali del 1952 al 32,32% ad un incremento di voti del 4,5% rispetto al risultato del 1946. Era tuttavia minoranza in confronto alla consistenza delle forze di centrodestra che rappresentavano il 67,65% e che continueranno a crescere a mano a mano che la Democrazia cristiana si consolida nel governo del Paese assorbendo progressivamente l’elettorato monarchico e di destra. Erano gli anni della guerra fredda, della divisione del mondo, dell’esclusione dei comunisti dal governo dei partiti antifascisti suggellati dalla scomunica di Papa Pio XII perfino contro i lettori dei loro giornali. Un esempio delle conseguenze del clima che si respirava nel paese è fornito ancora da Pasquale Di Palma: ” al momento che io e mia moglie ci dovevamo sposare si verificò uno scontro con la Chiesa che mi creò non pochi problemi. La chiesa locale rifiutava il nulla osta al matrimonio perché ero comunista. Ci fu un incontro tra i due parroci. Don Giovanni Acampora della chiesa di San Michele Arcangelo cui appartenevo io per domicilio e Don Armando Giuliano parroco della chiesa Collegiata cui apparteneva la mia fidanzata. Le ragazze dell’azione cattolica della Collegiata si opponevano a che mi sposassi in questa chiesa. Dal mio datore di lavoro e dal Presidente dell’ECA (ente comunale assistenza) di cui facevo parte fu promosso un incontro tra i parroci che in effetti si ridusse ad uno scontro perché si rinfacciavano a vicenda le responsabilità. Alla fine il mio parroco(Acampora) mi condusse alla sede vescovile di Nola dove mi sollecitarono a promettere che in futuro mi sarei allontanato dal Partito. Ma da me non ottenevano nessuna assicurazione”………….”Mi proposero la formula del “ matrimonio misto” per cui avrei dovuto attendere fuori dalla chiesa mentre dentro si svolgeva la cerimonia, in mia assenza. La rabbia che suscitava tra i familiari miei e della mia fidanzata era enorme. Stavamo per decidere di celebrare il matrimonio soltanto nella forma civile in Municipio ma alla fine decidemmo di sposarci nella Chiesa di San Domenico dove c’era un sacerdote buonissimo, Don Franco Massa, che ci accolse con piacere.”


Il metro di misura della positività dell’agire politico dei gruppi dirigenti la sezione era il risultato delle elezioni amministrative. Dopo un decennio di impegno nelle elezioni del 1956 il Partito raccolse con la sola propria lista 1238 voti pari al 14,19% ,una percentuale che non verrà mai più superata nel corso dei decenni successivi, anche nei momenti di maggiore espansione del Partito, come nel 1976. Ciò sta a dimostrare la permanente difficoltà di penetrazione tra la comunità sommese. Si è sempre oscillato tra 2 e 4 consiglieri comunali. Non era un lavoro facile perché spesso si verificavano defezioni ed abbandoni di dirigenti a causa di corruzione operati dal potere politico dominante(Democrazia cristiana) che aveva come obbiettivo preciso quello di indebolire l’organizzazione comunista che rappresentava l’unica vera forza di opposizione. Quindi appena si metteva in piedi una struttura organizzativa in grado di impensierire il potere dominante si faceva di tutto per demolirla. A questo c’è da aggiungere il condizionamento esercitato dal peso persistente del pregiudizio e della discriminazione. Chi votava per il PCI lo faceva in gran segreto per evitare ogni possibile ritorsione. La politica discriminatoria e vendicativa del Potere locale, incarnato dal Sindaco Francesco De Siervo e dai suoi “galoppini” nei confronti di chi la pensava diversamente, esercitava un condizionamento fortissimo. Pochi erano quelli che avevano il coraggio di esplicitare il proprio orientamento partitico di sinistra. Anche le famiglie di orientamento comunista erano consapevoli che una chiara esposizione o candidatura di qualche loro congiunto nelle liste del PCI, Partito di opposizione al governo nazionale e locale, non solo avrebbe fatto scoprire il proprio orientamento partitico ma avrebbe pregiudicato l’avvenire di altri figli in cerca di un’occupazione. I giovani temevano di esporsi perché le loro famiglie li avrebbero dissuasi nel caso in cui avessero voluto impegnarsi in politica. Quando venivano in sezione (che era allocata in un vano a piano terra che affacciava sulla strada) si sedevano in una posizione tale che chi passava non potesse vederli. In particolare veniva esercitato uno stretto controllo anche sui potenziali aderenti. Sintomatico in tal senso resta l’episodio di un ragazzo, semplice simpatizzante. Una sera era stato mandato a recuperare la chiave per aprire la sede della sezione, (veniva conservata presso un bar ad essa vicino di modo che ogni dirigente potesse aprirla), quando si ritirò a casa constatò che suo padre sapeva già tutto. Inoltre la sezione doveva fronteggiare l’emorragia dei suoi dirigenti studenti universitari che, una volta laureati, prendevano la via dell’emigrazione nelle città del nord in cerca di un lavoro dignitoso. E quindi si ricominciava sempre daccapo. Era come la fatica di Sisifo.
Qualcuno, oggi, per spiegare questa costante debolezza della sezione ha sostenuto che non sia dipesa dal fatto di essere minoranza nel paese ma da una “concezione politica minoritaria”che avrebbe caratterizzato i diversi gruppi dirigenti. Non è affatto così. I gruppi dirigenti, che si sono succeduti nel corso dei decenni, si sono sempre caratterizzati per l’apertura alla società e per la capacità strategica di stringere alleanze e partecipare insieme ad altre forze politiche , in varie forme, al governo del paese, a partire dal 1956.

Quell’anno I partiti di sinistra, presentatisi con liste distinte alle elezioni, raggiunsero, cumulativamente il 31,24%, che comportò l’attribuzione di 4 seggi al Pci e 5 al Psi. Questi partiti, per liberare il Paese dai condizionamenti dei notabili monarchici, missini e liberali, che detenevano insieme 8 seggi, decisero di realizzare un accordo programmatico con la Democrazia cristiana, che di seggi ne aveva 12. La DC allora era diretta da Francesco De Siervo, già da tempo presente nella gestione amministrativa del Comune, prima in qualità di Commissario prefettizio e poi di Assessore. L’accordo, costruito con la collaborazione di Diego del Rio, responsabile all’epoca degli Enti locali della federazione, si fondava su 18 punti programmatici, che, se fossero stati realizzati, avrebbero cambiato il volto della nostra città e sarebbero stati di esempio per gli altri Comuni del circondario. Il programma concordato era quello di realizzare una serie di opere pubbliche: case, scuole, strade, fogne, potenziamento dell’illuminazione, e soprattutto la creazione di occasioni di lavoro per i tanti disoccupati. Quell’alleanza di centro-sinistra del 1956, la prima in Italia, fu un fatto nuovo rispetto ai soliti governi nazionali centristi, fondati sull’alleanza DC-PLI-PRI-PSDI. In proposito esiste nell’archivio storico de L’Unità di quell’anno un resoconto della riunione del Comitato centrale del Partito nel corso del quale Giancarlo Pajetta citò quell’esperienza e la indicò come esempio da seguire anche in altre parti d’Italia. Quindi ci fu la partecipazione in Giunta del Pci con 1 assessore con delega all’Assistenza (Prof. Vincenzo Scarpati) e con 1 consigliere (Pasquale Di Palma) componente della Commissione ECA . L’alleanza, Dc-Pci-Psi per il Sindaco De Siervo però non era affatto strategica ma tattica, occasionale ed opportunistica. Gli serviva in effetti per ridurre a più miti consigli la componente di destra costituita dai notabili monarchici e liberali, che mal sopportavano la lontananza dalla gestione del Potere locale. Il lavorio ai fianchi della sinistra, condotto scientemente dal De Siervo, fatto di coartazioni, ricatti, diffamazioni, corruzioni (a Gennaro Notaro, segretario della sezione, che aveva molti figli e versava in condizioni economiche disperate il Sindaco De Siervo lo fece occupare presso l’acquedotto vesuviano in cambio del suo ritiro dalla vita politica, ad un altro dirigente , che era stato licenziato dal lavoro, diede la licenza per aprire una panetteria, ad un altro ancora che possedeva un pezzo di terra gli consentì di costruirsi la casa). Tutto questo aggiunto a decisioni autocratiche che escludevano ogni confronto con gli alleati, fece si che il Pci ed Il PSI, dopo circa due anni di convivenza difficile, ritirassero i propri assessori dalla Giunta, determinando la rottura dell’alleanza del primo centro sinistra in Italia. Da quel momento De Siervo, sostenuto dalla destra, diventò sindaco incontrastato e cominciò a governare in modo assolutistico . Quella alleanza con la Dc non giovò di certo ai Partiti della sinistra. Nelle successive elezioni comunali del 1960 infatti uscirono indeboliti. Il Pci perse 2 seggi ed il Psi 1. Una medesima opportunità di accedere al governo del paese in alleanza con altri partiti si ripresentò nella tornata elettorale del 1971. La sinistra nel suo complesso disponeva finalmente della maggioranza assoluta di 16 seggi su 30 di cui solo 3 del PCI. Ma nonostante il successo elettorale il varo di un governo non era dietro l’angolo perché il PSDI poneva una pregiudiziale nei confronti del PCI. Agli inizi degli anni 70 il PSDI di Mario Tanassi consentiva ai propri gruppi consiliari, solo in casi del tutto eccezionali, di dar vita ad amministrazioni di sinistra a patto che il PCI non entrasse a far parte delle Giunte esecutive. Fu proposto quindi al Pci di dare l’appoggio esterno ad una coalizione, che si reggeva su 10 seggi del PSI e 3 del PSDI, guidata dal sindaco ing. Antonio D’Ambrosio del PSI.

Nella sezione si svolse una difficile e tormentata discussione che vide contrapposti due schieramenti. Da una parte c’era chi (i più anziani) non accettava, per esperienza e motivi di orgoglio, la pregiudiziale posta dal PSDI; dall’altra c’era chi (i più giovani) non intendendo perdere l’occasione di estromettere la Democrazia cristiana dal Potere locale per poter dare l’ avvio ad un nuovo corso politico capace di liberare le energie del paese soffocate dalla sua cappa asfissiante, sia pure a malincuore, accettava il “ricatto” socialdemocratico. Il timore era che, di fronte all’ indisponibilità del PCI, il PSDI decidesse di dare l’appoggio alla DC, che comunque disponeva di 14 seggi, rendendola in tal modo di nuovo protagonista del governo del Paese, dopo che per la prima volta non aveva più conseguito la maggioranza. Quindi si temeva che l’opinione pubblica di sinistra addossasse al PCI la responsabilità del mancato cambiamento di governo del Paese. Tra l’altro La federazione Comunista napoletana, attraverso il suo responsabile delle Autonomie locali Andrea Geremicca, aveva indicato a tutti i gruppi consiliari di agire nei Consigli comunali in modo da rompere o scalfire il blocco monolitico della Dc, per ridurne il Potere, ormai cristallizzato, negli Enti locali. L’opinione pubblica attendeva dal PCI una decisione favorevole alla costituzione di una Giunta di sinistra (PSI-PSDI) nonostante la pregiudiziale socialdemocratica. Si pensava che il PCI, garantendo l’appoggio esterno, avrebbe avuto comunque la “matta” in mano per determinare e condizionare le scelte amministrative e che sarebbe stato libero di mantenere in piedi o di far cadere l’amministrazione in qualunque momento. Tutte queste considerazioni contribuirono alla fine a far assumere la decisione di dare l’appoggio esterno all’Amministrazione D’Ambrosio ed alla sua Giunta.

Questa esperienza durò però solo tre anni. L’insofferenza della base comunista verso la Giunta, che perpetuava metodi di gestione amministrativa poco innovativi rispetto al passato, unita ad un’operazione trasformistica sotterraneamente guidata dalla DC, che mal sopportava di stare all’opposizione, portò all’abbandono della maggioranza di due consiglieri eletti nella lista socialista e alla caduta dell’Amministrazione.

Luciano Esposito/2 continua


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3 commenti

  1. Ricostruire la storia del PCI e della sinistra è importante per le nuove generazioni. Luciano ha, sempre dedicato le proprie energie a, questo obiettivo. È stato utile per me leggere questa ricostruzione.

    1. Author

      Ciao Giovanni. Scrivine anche tu un pezzo. Ciao. Gianfranco

  2. Luciano ti faccio i miei complimenti per la ricostruzione storica della sezione del PCI nella vita politica ed anche sociale ( ricordi bene che molti lavoratori o disoccupati si rivolgevano a Pasquale ed a Marcuccio per avere assistenza su richieste alla P. A . ) . Ti auguro che gli obiettivi che ti sei prefisso,con questo lavoro,tu li raggiunga. Ciao 🙋‍♂️

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