di Gianfranco Nappi

C’è un compagno autorevole della sinistra napoletana e meridionale – che fin dall’inizio dell’esperienza di Infinitimondi non ci ha mai fatto mancare sostegno e incoraggiamento – che ha mosso una critica al lavoro che stiamo portando avanti sui 100 anni PCI, dopo avere assicurato un nuovo e robusto contributo del quale gli siamo quindi doppiamente grati.
L’ho anche sollecitato a dire il vero a rendere pubblica la sua osservazione, così da favorire un confronto più ampio: niente da fare. Sono cinque anni ormai che lo sollecito, senza successo, a intervenire sui vari temi che andiamo affrontando.
E’ solo per questa sua ritrosia che quindi non mi sento autorizzato a rendere pubblico il suo nome in questa occasione, e però invece voglio misurarmi pubblicamente con la sua obiezione che grosso modo suona così:
Ma insomma, state facendo un lavoro importante di emersione di una intera storia, e però bisognerebbe evitare di farlo quasi in termini trionfalistici, come a tratti sembrate fare, perché poi altrimenti non ci si spiega un dato di fondo: se è come dite voi, perché poi quella storia è finita nel modo in cui è finita?”.
La domanda mi sembra più che corretta e se non ne condivido la premessa – un certo trionfalismo nella narrazione – ne condivido invece l’interrogativo conclusivo: è misurandosi con esso – perché una storia che è stata grande è finita – che si può dar vita ad un confronto fecondo che può concorrere a determinare le condizioni per la nascita oggi di un movimento sociale, culturale e politico ( l’ordine non è per me casuale ), che copra quel vuoto grande che c’è nella politica oggi: l’assenza di un movimento politico di sinistra, popolare e colto, capace di far vivere una critica radicale allo stato di cose presenti e di aiutare la società, in questa fase di passaggio così tumultuosa, a darsi nuove forme e a dischiudere nuovi scenari di libertà e di liberazione.


Trent’anni dopo lo scioglimento del PCI lo vediamo meglio questo ‘vuoto’ clamoroso di oggi.
Ed è proprio nella mancata riflessione di fondo sulla scelta di scioglimento del PCI, sulle ragioni che l’hanno animata, sulle soluzioni diverse possibili che tutto l’arco di soluzioni che da quello scioglimento è nato – nelle varianti più radicali come in quelle precipitate in un democratico indistinto – ha esaurito ogni sua spinta e lascia oggi un campo politico sgombro.
E quindi ha assolutamente ragione il nostro caro amico a compagno: riflettere sul perché e sul come una storia grande sia finita è decisivo per reimpostare qualsiasi altra storia duratura. E quindi, se quella storia pur grande è finita, vuol dire che essa aveva già incubato al suo interno contraddizioni e problemi che, non affrontati, ne hanno determinato con maggiore facilità la conclusione.
Se con l’89 interviene la rottura, quando invece il PCI, la sua vicenda e il suo orizzonte si sono incrinati e hanno cominciato a restringersi, e su quali terreni ? Quando il PCI ha smesso di ‘crescere’ nella società, tale per cui, quando è intervenuto l’89, le ragioni che ne spingevano al superamento hanno preso più facilmente il sopravvento?
Anche su questo terreno vorremmo collocare l’iniziativa sui Cento anni PCI: ci interessa molto questa riflessione critica. E ci interessa perché ci serve anche per l’oggi.
Stiamo già provando a farlo ma la sollecitazione, se l’ho intesa bene, ci spinge a farlo ancora di più e meglio.
Magari anche mettendo sotto osservazione un campo più largo di protagonisti che hanno avuto un ruolo non secondario nell’evoluzione della vicenda della sinistra e del movimento operaio nel paese : a cominciare dalla evoluzione/involuzione del PSI ai percorsi seguiti dal movimento sindacale e dalla CGIL, per fare solo due esempi di grande rilievo.
E ci torneremo e invitiamo tutti quelli che ci stanno seguendo a esserne attori.
Tengo alla fine invece il punto di dissenso sull’osservazione critica mossaci.
Non c’è trionfalismo in quel che stiamo facendo. Non mi sembra . E se appare questo in ogni caso andrà corretto. C’è, questo si, il riconoscimento di ciò che ha rappresentato un movimento di popolo di cui il PCI è stato anima, e certo non unico interprete , l’abbiamo appena detto con riferimento ad altri protagonisti politici e sociali .
Un movimento di popolo, di donne e uomini semplici, operai, contadini, intellettuali, professionisti, a cui la democrazia, la libertà, il progresso sociale e civile del nostro paese devono tanto.
E’ a queste donne e a questi uomini che dedichiamo molto di questo nostro lavoro.
E lo facciamo con particolare ‘passione’ perché avvertiamo che, in larga misura, è una storia o dimenticata o catalogata sotto la voce di ‘malastoria’.
E questa, se possibile, è un’ingiustizia che possiamo concorrere, tutti insieme, a sanare.

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1 commento

  1. Tempi fa ebbi modo di scrivere sul perché diventammo comunisti, e perché poi in tanti siamo diventati comunisti senza chiesa. Forse l’inizio della fine fu il compromesso storico, o meglio, l’uso che ne è stato fatto da chi successe ad Enrico Berlinguer. Il Partito democratico è il frutto avvelenato finale di un processo iniziato con Occhetto e completato da Renzi. Ma forse il peggiore di tutti è stato D’Alema. E Renzi ha solo completato l’opera che si era prefisso.

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