di Gianfranco Nappi

Alle vicende dei bambini napoletani che , nell’immediato dopoguerra da una Napoli sfigurata e impoverita dalla guerra, furono accolti dalle famiglie in primo luogo Emiliane per iniziativa del PCI abbiamo dedicato tante iniziative, compreso un numero speciale della rivista Infinitimondi , una Mostra due anni fa e anche una ricostruzione del ruolo avuto in quelle vicende da figure come quella di Gaetano Macchiaroli.

Giulia Buffardi dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza vi ha dedicato diverse ricerche e pubblicazioni, Simona Cappiello vi ha dedicato un film e un libro, Viola Ardone un romanzo di grande successo. Un altro ricercatore tenace, anch’egli autore già di un libro e della collaborazione alla realizzazione di un cortometraggio è Giovanni Rinaldi. Ora Giovanni torna sul tema con una nuova ricerca che ripercorre le vite di diversi di quei bambini, napoletani e non: Giovanni Rinaldi. C’ERO ANCH’IO SU QUEL TRENO. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia. Solferino 2021. Lo scorso 26 ottobre l’abbiamo presentato a Napoli nel corso di una intensa discussione cui hanno preso parte alcuni dei testimoni insieme a Nora Puntillo e all’autore.

Tra i tanti pregi della ricerca c’è anche la ricostruzione che Giovanni fa nel suo lavoro, così come del resto raccontano i protagonisti del libro, dei contatti interrotti tra i due poli della vicenda e i capitoli più densi sono dedicati proprio al confronto tra i protagonisti della risalita da Sud , ovvero dei loro eredi, e quelli dell’accoglienza al Nord o dai loro eredi. E così storie, vite, speranze che per un breve lasso di tempo si sono incrociate e reciprocamente influenzate, tornano a parlarsi, si riscoprono con il lungo carico di vita trascorso. E non meno bello è anche il racconto di una ospitalità ‘al contrario’ realizzata dopo il terremoto in Emilia di non molti anni fa e l’organizzazione di una accoglienza a Napoli di famiglie, donne e bambini emiliani a Napoli. Altra nota per me emozionante, è stata la possibilità di ritrovare uno di quei bambini che furono ospitati al Nord proveniente non da Napoli ma da San Severo, in Puglia. Il bambino è Severino Cannelonga. Quel bambino, che vide i suoi genitori arrestati il 23 marzo 1950 per aver partecipato ad uno sciopero generale indetto dalla CGIL. Carmine, il papà di Severino era bracciante e segretario della locale Camera del lavoro. E Severino racconta come cerano trattati in quegli anni i braccianti, il caporalato, lo sfruttamento, la totale soggiacenza ad un padrone. E leggendo quel racconto viene facile sostituire al papà di Severino e ai suoi compagni di lavoro di allora i giovani che dall’Africa e dall’Est arrivano da noi e si ammassano nelle tendopoli o nei capannoni abbandonati e fatiscenti per raccogliere pomodori in quella stessa piana, egualmente indifesi e offesi. Ho condiviso con Severino Cannelonga la mia prima legislatura alla Camera dei Deputati: entrambi eletti dal PCI. Una parabola di riscatto se volete per Severino e per i tanti come lui.

Perchè questo lavoro di Giovanni è importante a mio modo di vedere? Perchè si avverte il bisogno di raccontare queste storie? Io penso che ciò derivi, e in questo quel che fa Giovanni e che fanno tutti quelli come lui, è prezioso, da una risposta all’esproprio che tutti abbiamo subito in questo tempo: l’esproprio di futuro attraverso la sottrazione della memoria. Sì, perchè il punto è proprio questo: nel momento in cui ti viene negato un passato ti si sta inibendo anche contestualmente un futuro, la possibilità di progettarlo. Ed è per questo che si ha bisogno di costringerci in una gabbia fatta solo di presente, senza ieri e senza domani. Ancora più grave quando poi vi entriamo da soli… Questa che condusse nell’arco ci pochi anni , nell’immediato e difficile dopoguerra ad organizzare l’accoglienza di 70.000 ragazze e ragazzi, con tutto quel che comportò, e che quindi mobilitò nel suo sforzo alcune centinaia di migliaia di persone, tantissime famiglie, fu una delle più importanti storie di solidarietà che aiutò un paese distrutto anche moralmente dalla dittatura e dalla guerra a ritrovarsi e a riconoscersi unito. Fu una grande storia quindi. Una storia di popolo. Ciò di cui ci si rende poco conto è che aver reciso i legami con questa storia fatta della volontà di grandi masse popolari di riscattare la propria condizione e di battersi per nuovi orizzonti di dignità e di liberazione umana ha significato indebolire le radici del farsi stesso della democrazia nel nostro paese. Ecco anche perchè essa è oggi più esposta ed ecco anche quindi tutto il valore democratico, civile, del riscoprirla questa storia di cui furono protagonisti, non da soli ma in particolare il PCI e l’Unione Donne Italiane : e fu dentro passaggi del genere che preso corpo la straordinaria visione di Togliatti del partito nuovo . Si restituisce così riconoscibilità ad una democrazia socialmente esangue e si dice a chi non ritiene possibile un cambiamento, a chi non riesce a progettare un futuro che invece no, ciò è possibile. Se ieri, il figlio di un bracciante arrestato perchè rivendicava lavoro e dignità è diventato poi deputato al Parlamento, rappresentante di quello stesso popolo, allora perchè oggi non dovrebbe poter avere senso battersi per vedere riconosciuti universalmente diritti di dignità umana e sociale? C’è anche questo valore nella ricerca di Giovanni Rinaldi ed anche per questo occorre essergli grati.

Qui il video della presentazione : https://www.facebook.com/centoanni.pci.it

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