di Ubaldo Baldi


SEGRETARIO GAETANO DI MARINO (AGOSTO ’53- MARZO ’60)
Nell’agosto del 1953 Michele Rossi lascia la carica di segretario e fa ritorno a Roma e viene eletto segretario Gaetano Di Marino.
Anche negli anni seguenti il tema della pace domina le attività della Federazione, un importante documento, presentato al 5° Congresso della Federazione salernitana (1954), offre alla discussione la necessità di creare “..un grande universale movimento per salvare la civiltà e la vita del genere umano..”. Il documento sottolinea i primi timidi successi di quella che viene definita la causa della pace contrapposta alla guerra fredda e la corsa agli armamenti, ma soprattutto la minaccia di un conflitto mondiale con l’uso di bombe termonucleari. Rivendica ai “comunisti, ai partigiani della pace” il dover interpretare il sentimento popolare “per la vita del mondo e la difesa della civiltà”. Si sottolinea però le difficoltà riscontrate in provincia e il non esser “..riusciti ad avere ancora un organico e autonomo movimento per la pace. La lotta per la pace è stata quasi sempre condotta in prima persona dalle nostre organizzazioni di partito..”. Il documento si conclude con un ulteriore appello affinché si arrivi alla “..formazione di un grande movimento per salvare la civiltà e la vita del genere umano basato sulle grandi masse cattoliche e sulle masse socialcomuniste, la lotta contro la CED e per una politica attiva di pace..[questi] saranno i compiti fondamentali che spetteranno nei prossimi mesi a tutti i comunisti, a tutti i partigiani della pace; perciò devono essere i temi fondamentali del nostro congresso..”.

Gaetano Di Marino


Sul piano delle lotte bracciantili e del settore agricolo, le lotte e le rivendicazioni sono portate avanti sempre dai Comitati per la terra, sorti tra Capaccio e Altavilla Silentina.

Federazione salernitana anni ’50.


IL PCI DAL CRUCIALE ’56 AL DECENNIO SESSANTA
Il 1956 è un anno terribile per il PCI nazionale e per quello salernitano, in autunno scoppia violenta la crisi ungherese e in contemporanea l’attacco israeliano nel Sinai prima e lo sbarco anglo-francese in Egitto con bombardamenti e stragi.
Il 1956 segnò uno spartiacque, iniziarono a rivelarsi le prime crepe nel monolitismo dell’URSS come paese guida, lo stesso Togliatti pur denunciando i lavoratori ribelli di Poznan e Budapest come strumenti della reazione, iniziava a mettere in guardia contro una “degenerazione burocratica” nel mondo sovietico.
Comunque i “fatti d’Ungheria” mettono profondamente in crisi l’apparato del PCI, già provato da tutto l’armamentario di attacchi morali e materiali della “guerra fredda”, i carri armati sovietici danno la stura in Italia a tutta una becera, violenta e provocatoria campagna anticomunista che rappresenta quell’evento come un possibile scenario probabile anche per l’Italia.
Anche in altri Paesi europei la destra fascista scatena attacchi terroristi, basti citare a Parigi l’assalto alla sede del PCF e de l’Humanité che provoca anche dei morti. In Italia i fascisti vorrebbero riproporre la cosa, convocano manifestazioni nelle quali vengono tentati assalti alle sedi del PCI come l’8 novembre a Roma, ma la mobilitazione dei militanti lo impedisce, possono farlo solo di notte come a Torino sparando dei colpi di pistola contro le finestre della Federazione torinese, ma il 9 a Bologna il PCI risponde con 80.000 in piazza a manifestare.
A Salerno gli avvenimenti ungheresi scatenano vere e proprie aggressioni verbali, per strada, nei consigli comunali, nella virulenza della stampa e propaganda. Ma non basta, il culmine si raggiunge il 31 ottobre quando i fascisti del MSI alla testa di un corteo di studenti tenta l’assalto alla sede del PCI di via Roma, assalto che peraltro viene respinto dai pochi militanti presenti guidati da Matteo Ragosta e Giovanni Fenio.
A Salerno si rispose agli attacchi con una manifestazione unitaria con il PSI al Capitol, oratore ufficiale Sandro Pertini, che in sostanza evocò il pericolo del possibile “isolamento del PCI” e della conseguente divisione all’interno della classe operaia aprendo una breccia alle forze della reazione.
La risposta dell’apparato del PCI è di grande mobilitazione in preparazione dell’8° congresso nazionale, impegnando le sezioni e i Comitati direttivi per convocare manifestazioni celebrative del 39° della Rivoluzione d’Ottobre sia a Salerno l’11 novembre, sia a Nocera in piazza, che ad Eboli e Battipaglia.
Il Congresso provinciale si svolge il 22 novembre convocato sul tema “in difesa della pace, della libertà, della democrazia, per il progresso, la rinascita, il socialismo”. Si batte molto sui temi della pace, messa in pericolo anche dal neocolonialismo anglo-francese a Suez, sia sui temi interni della lotta ai monopoli e alla crisi sociale attuale. Alla fine del congresso Gaetano Di Marino viene riconfermato segretario della Federazione.
Così come il decennio ’50 si era aperto con l’eccidio di Modena, il decennio ’60 si apre con i fatti del luglio di sangue. La protesta a Genova e poi in tutta Italia, contro il tentativo di Tambroni di un coinvolgimento del MSI nel governo, fu repressa brutalmente ancora una volta dalla Celere: alla fine ci furono undici morti, migliaia di arresti, il varo di misure speciali, fermi indiscriminati con accuse da stato di polizia. La novità di quelle manifestazioni, fu la partecipazione in tutte le proteste di migliaia di giovani, una nuova generazione che si era unita ai partigiani, ai militanti più vecchi, nella ribellione che aveva come collante i valori della Resistenza e dell’antifascismo, un dato che ritornerà più volte fino agli anni settanta.
Nel frattempo il PCI a livello regionale, dopo la fase esaltante delle lotte condotte dal movimento di rinascita degli anni del dopoguerra, sta vivendo una difficile fase caratterizzata dalle asperità legate a una chiusura tra Napoli e le provincie e queste tra di loro.
Il dibattito all’interno del PCI salernitano in quei mesi è chiuso tra posizioni dettate da schematismi settari ed altre nelle quali si esprime la consapevolezza di una necessaria maggiore collaborazione dialettica verso le forze politiche potenziali alleate in una crescita in senso democratico della società. Si poneva la questione di una vitale apertura delle sezioni come centri attrattivi e capaci in autonomia di iniziative ampie, allargate alla società civile, una “articolazione più democratica ed autonoma delle Organizzazioni di massa”.
Emerge la coscienza, o almeno viene posto il bisogno del venir fuori dai massimalismi, di una sottovalutazione del problema di aprirsi all’unità anche sindacale, di una maggiore autonomia delle organizzazioni di massa, insomma uscire dal rigido schema del “sindacato cinghia di trasmissione del partito”.
La disamina del quadro economico e sociale- come esposto al 7° Congresso provinciale del gennaio 1960- rimaneva critica, 60.000 disoccupati a fronte di una emigrazione di 50.000 salernitani, negli ultimi dieci mesi oltre mille gli operai licenziati, un reddito pro-capite inferiore a quello nazionale ma anche minore di quello medio campano, gli ospedali con lo 0,70 posti letto ogni mille abitanti (la media al nord era 5,3), ed ancora mulini e pastifici, meccanica, cantieristica e i tessili chiusi, scomparsa anche la Del Gaizo a Scafati. I finanziamenti statali di 5 miliardi hanno privilegiato la Marzotto per oltre un miliardo e mezzo a fronte di sole 400 operaie assunte, in genere ragazze a sottosalario. All’interno del congresso i dirigenti delle organizzazioni bracciantili e contadine fanno osservare come nonostante le leggi stralcio di Riforma la grande proprietà permane, così come il peso della rendita fondiaria, con grave nocumento sia dei livelli occupazionali e salariali dei braccianti, sia per quel che riguarda la produzione, la trasformazione e conversione delle colture.
Quindi si rilancia l’iniziativa del Partito su questi temi, si dà l’obiettivo dell’aumento a 14.000 iscritti, puntando tra i contadini, le masse femminili, gli artigiani, gli studenti e gli intellettuali.



SEGRETARIO GIOVANNI PERROTTA (MARZO ’60- DICEMBRE ’68)
In quella fase Di Marino, marzo 1960, è cooptato a Roma nel Comitato Centrale sezione agraria e – su proposta dello stesso Di Marino- quale nuovo segretario è nominato Giovanni Perrotta, anch’egli del gruppo ebolitano, lo affiancavano Giuseppe Amarante, Domenico Davoli e Anna Spaggiari, una ex partigiana combattente di Reggio Emilia inviata dal Centro a sostegno della Federazione, che divenne responsabile dell’UDI.
Nel decennio anni ’50 l’economia salernitana aveva subito duri colpi occupazionali, dovuti alla smobilitazione del vecchio comparto industriale medio-piccolo. La storia sociale e del M.O. di Salerno nel periodo anni ’50, come abbiamo più volte visto nelle lotte, è caratterizzata da una costante politica di deindustrializzazione e smobilitazione di tutto un articolato complesso di piccole industrie anche a carattere artigiano, sacrificate sull’altare del “mercato nazionale” del nascente boom economico. Questo aveva comportato il ritrovare una classe operaia sfibrata, stretta tra la morsa dei bassi salari, le scarse o nulle rivendicazioni sociali e un sindacato a sua volta costretto ad una tattica tutta difensiva in una costante, e quasi sempre più o meno perdente, rincorsa in difesa dei livelli occupazionali.
Di contro quello è anche il periodo che darà luogo all’affermarsi di una politica economica industriale in cui gli investimenti si concentreranno al nord nel triangolo industriale e si determineranno le condizioni per la costituzione di un esercito di riserva di forza-lavoro con un nuovo evento migratorio sia interno che soprattutto verso il nord Italia e centro Europa. All’inizio degli anni ’60 la contemporanea crisi del settore della media collina aveva provocato una spinta all’emigrazione dai paesi dei territori interni, verso i cosiddetti poli di sviluppo. Nel salernitano l’emigrazione sarà sia verso il Nord industriale, sia interna con un massiccio svuotamento dei paesi dell’entroterra prevalentemente verso la fascia urbana che va da Battipaglia a Napoli. Questo accresceva nella città capoluogo il bisogno di case, incrementando l’ascesa speculativa del settore edilizio di bassa qualità. Ne consegue quello definito “il sacco edilizio”, che a Salerno significa la crescita incontrollata di interi quartieri come il Carmine, Torrione, Pastena e Mercatello.
I figli di questo proletariato urbano che va aggregandosi a Salerno, fatto di operai disoccupati, manovali edili, ex contadini neo-immigrati e terziarizzati, vanno ad ingrossare le fila della scuola di massa, soprattutto delle scuole ad indirizzo tecnico- industriale.
Così come la nuova massiccia emigrazione meridionale al Nord provoca fenomeni di rottura sociale sia territoriale che nelle fabbriche, determinando nelle periferie urbane si verificano fenomeni di intolleranza e di sovraffollamento, in fabbrica – nel corso degli anni ’60- assistiamo ad una mutazione antropologica della figura operaia di riferimento: abbiamo il declino della figura operaia tradizionale, legata alla cultura del proprio lavoro, della propria “operosità”, che viene sostituita dalla figura dell’ “operaio massa”, una leva di operai giovani che ribadisce la propria “estraneità” al lavoro di linea, contestando la propria condizione sociale complessiva.
Anche se in parte, questi fenomeni possiamo ritrovarli anche nel salernitano, abbiamo già detto dei giovani che ingrossano le fila della scuola di massa, ma anche la tipologia tipica delle nuove leve di operai sarà poi foriera di mutamenti.
A giudicare dal dibattito che in quegli anni si riesce a percepire dai documenti congressuali, il fermento e i cambiamenti nel territorio del periodo, sfuggono nella loro reale portata e solo marginalmente erodono l’integrità del corpo del Partito, anche se poi alla fine del decennio esploderanno diverse contraddizioni.
Difficoltà che alla fine del 1962 così venivano descritte: un partito inadeguato sul piano della elaborazione e della organizzazione che lasciava emergere il problema degli organi dirigenti e della democrazia interna. Si verificava che “un limitato gruppo di compagni al difuori di ogni istanza di partito riservava a sé stesso l’assunzione di decisioni politiche”. Mentre si verificava in concreto un “esaurimento” del Comitato di zona dell’Agro, del Comitato Cittadino di Salerno, la chiusura di sezioni come la “Gramsci” e quella di Torrione a Salerno, quella di Bellizzi e di Capaccio. Le colpe erano addossate al C.F., che non era stato capace di sollecitare nelle sezioni il dibattito interno per far emergere le divergenze esistenti e quindi senza saper superare le resistenze, pur presenti, a livello zonale.
Le conferenze di organizzazione e i Congressi degli anni dal 1963 al 1969 rivelano appieno e chiaramente i punti critici del PCI salernitano in quella fase cruciale dei cambiamenti socio-economici e quindi politici del territorio.
Nel ’62 viene confermato Perrotta segretario che rimarrà tale fino al 1968, nel frattempo la figura di dirigente che va sempre più affermandosi è quella di Giuseppe Amarante che però preferisce assumere la carica di segretario provinciale della CGIL.
I segnali di crisi si rendono più evidenti nel 1965, quando nel dibattito congressuale si devono fare i conti con le responsabilità nel quadro di pesanti perdite a livello elettorale, avendo il partito dimostrato evidenti debolezze organizzative e nella elaborazione politica. Sono evidenziate le difficoltà anche a livello nazionale, senza che si rendesse concreta l’indicazione di una linea del PCI per andare oltre il centrosinistra, verso una nuova maggioranza al governo del Paese. A livello locale si sottolinea la necessità di accelerare, estendere e rafforzare il carattere di massa del partito dove è carente, come nel Cilento e Vallo di Diano, stimolando e sviluppando il dibattito politico e la “democrazia interna”, con un efficace lavoro di proselitismo nelle categorie e nelle zone (Sindacato, Alleanza Contadini, Cooperative, Patronati). Si dà infine indicazione per praticare una maggiore capacità unitaria con il PSIUP e il PSI, per facilitare un processo di aggregazioni valide anche elettoralmente da contrapporre alla D.C. e alle destre. L’autocritica prosegue nell’affermare chiaramente come il partito non sia capace di cogliere in tutta la loro entità i mutamenti rapidi della realtà, le nuove esigenze poste alla popolazione e questo lo si paga anche in termini puramente elettorali. I contrasti non consentono l’elezione di una segreteria con ampia maggioranza e si ricorre ad una segreteria “provvisoria” composta da Giovanni Perrotta e Giovanni Fenio. Per tutto il 1966 i contrasti e l’acceso dibattito si susseguono nelle varie attività congressuali, solo due anni dopo, nel 1968 il segretario in carica Perrotta “..per contribuire al superamento della situazione di stallo durata a lungo, rassegna le dimissioni..” ma vengono una prima volta respinte, ripresentate e accolte in quanto, come richiesto dai dirigenti federali, viene invocato l’invio di un “compagno dal Centro”, in pratica un “commissario”.

Gennaio 1960. VII Congresso Provinciale



SEGRETARIO BRUNO BERTINI (DICEMBRE ‘68- GIUGNO ’70)
La Direzione del Partito, accogliendo le richieste salernitane, incarica Bruno Bertini – toscano già partigiano in Liguria e con esperienza nella Sezione Centrale di Organizzazione del partito- che viene accettato dalla Federazione e dopo poco tempo vedrà sancito il formale incarico in una riunione degli organismi dirigenti, ma che poi si troverà al centro delle critiche di Alinovi nella intricata vicenda della “calda estate del ‘70”.
La crisi della Federazione salernitana, che esploderà clamorosamente nell’estate del ’70, aveva avuto inizio già qualche tempo prima con il contrapporsi di un gruppo portatore in qualche modo di istanze di “rinnovamento”, formato da vari dirigenti raccolti attorno alla figura di Gaetano Di Marino, per questo designato quale candidato eleggibile nelle liste per la Camera alle elezioni politiche del 1968, come Amarante, Pino Lanocita, Giovanni Perrotta, Antonio Sorgente, ai quali si contrapponeva quello rappresentato da figure di rilievo come Tommaso Biamonte e Feliciano Granati, Giovanni Fenio, Mario Rainone, Carmine Botta, Michele Braca.
Il meccanismo elettorale vigente all’epoca, permetteva ad un partito come il PCI di “decidere” in anticipo gli eletti in base al fatto che nella circoscrizione SA-BN-AV il partito di norma aveva 4 eletti, due erano assegnati a Salerno, uno a Benevento e uno ad Avellino. Per le elezioni del 19-20 maggio 1968 quindi si era deciso che i deputati salernitani che dovevano risultare eletti fossero Pietro Amendola e Gaetano Di Marino. Gli altri candidati erano scelti anche per fungere da semplici portatori di voti, ma quell’anno risultò eletto, al posto del candidato di Benevento, Tommaso Biamonte che chiaramente era stato appoggiato, contravvenendo alle indicazioni del Partito, da una ben precisa e “.. forte componente interna (una corrente) che si poneva l’obiettivo della conquista della Federazione di Salerno. Si trattava di un gruppo che aveva tra i suoi esponenti di punta Feliciano Granati, Giovanni Fenio, Antonio Noschese, Ugo Sessa, Mario Rainone, Antonio Siniscalco, che si contrapponeva a Di Marino..”.
In effetti tutto questo comportava una “..contestuale emarginazione di Pietro Amendola e dei compagni a lui vicini, ai quali si rimproverava una propensione alle pratiche clientelari..”.
All’interno del malcontento della base delle sezioni della Piana, come Battipaglia e Eboli, contò molto la gestione politica da parte della Federazione della “rivolta del 9 aprile “ a Battipaglia, della loro importanza e delle profonde lacerazioni che determinarono in tutto il PCI salernitano dai vertici alla base.
Battipaglia aveva visto negli ultimi anni un forte ridimensionamento del suo tessuto industriale anche storico, ma in quell’aprile del ’69 era la minacciata chiusura anche dello zuccherificio e di alcuni tabacchifici che innescarono una grande e tesa mobilitazione, al cui interno erano ben presenti operaie e operai sindacalizzati o della base comunista.
L’intervento sconsiderato e violento della polizia innescò una reazione che sfuggì di mano a tutti, ci furono due morti, ma la gravità dei fatti spaventa i dirigenti del PCI che si rivelano incapaci di gestire almeno una parte della protesta, quella che veniva dal corpo stesso della sua tradizione operaia e contadina, cosa oltremodo aggravata perché il giovane ucciso dai colpi dei poliziotti, è un giovane comunista. Lo spazio lasciato dalla mancata mobilitazione del partito viene opportunisticamente coperto da qualche gruppo di fascisti locali che su questa cosa costruiranno poi le loro carriere politiche.
Questa carenza di intervento politico peserà molto sulle successive vicende interne e mostreranno impietosamente il volto di un partito ormai troppo burocratizzato, chiuso nella logica delle contraddizioni e scontri interni e incapace di agganciare la possibilità di adeguarsi alla realtà del movimento degli studenti che delle lotte, pur spontanee, venate di populismo e di assistenzialismo ma che rivelavano una sofferenza reale dei ceti popolari e del proletariato delle conurbazioni che in quegli anni si erano formate, lotte troppo presto relegate ad episodiche jacquerie.
Questa la premessa, la crisi che investe il PCI salernitano nel 1970, quella che si rivelerà una delle più profonde a scuotere il corpo del partito dai tempi della “svolta” togliattiana del ‘44, tanto da avere vasta eco mediatica a livello nazionale e suscitare preoccupazioni nella Direzione nazionale del partito, ha poi un’altra data cruciale, il 7 luglio del ’69, quando Pietro Amendola viene in qualche modo “sacrificato” e presenta le sue dimissioni da deputato motivandole con problemi di salute.
Come è finora apparso chiaro, nello sviluppo e nel determinarsi delle vicende del quadro dirigente della Federazione salernitana, dal ’44 in poi, un ruolo dominante l’hanno avuto i fratelli Amendola, e Pietro è stato quello che per venticinque anni ha svolto qui la sua “..attività politica di militante comunista..”. Così quando il Partito salernitano venne interessato da elementi di dibattito e dalle asperità che ne conseguivano, siano essi rappresentati da critiche spontanee e sincere della base, sotto la spinta di istanze provenienti anche dai movimenti giovanili e operai del ’68, o come pure da quelle subdole e legate a più o meno misere logiche di potere, questo aveva determinato un “..clima sfibrante [per i] continui, aspri contrasti da troppo tempo in atto..” . Amendola si dimise da deputato, ma assicura – non risparmiando una frecciatina ai suoi critici- “..io continuerò a far parte del Comitato Federale di Salerno al quale, penso modestamente potrò dare contributi più efficaci una volta libero da ogni complesso inerente a quella condizione di parlamentare considerata purtroppo da alcuni nostri compagni una condizione «privilegiata»..”.
Amendola presentò le dimissioni il 7 luglio, e lo fece di persona in una riunione del C.F., cui conseguì l’elezione di una nuova segreteria con Bruno Bertini, confermato segretario provinciale, affiancato da Ernesto Mandia e Alfonso Volino ed un Comitato Direttivo. Le decisioni furono assunte alla fine di un contrastato dibattito, con una votazione di 35 a favore e 34 contrari. Si determinò così una maggioranza e una minoranza, che si daranno poi battaglia nelle settimane successive, anche interessando con varie lettere il presidente della Commissione Centrale di Controllo Arturo Colombi.
I malesseri erano profondi ma mostravano con evidenza l’essere legati più a lotte intestine e beghe elettoralistiche di tipo personalistico, piuttosto che a motivate divergenze ideologiche, magari queste venivano invocate in un secondo momento solo a “copertura” e sostegno della propria posizione di schieramento avverso. Personalismi elettoralistici che esasperarono le azioni fino al verificarsi di inusitati episodi di spostamenti di iscritti da una sezione all’altra secondo le diverse esigenze volte a rafforzare o indebolire le votazioni di organismi sezionali contrapposti. Si verificarono fatti anche violenti nelle sezioni, nei confronti degli organismi di direzione, fino ad arrivare – a novembre – all’occupazione della Federazione provinciale da parte di circa quaranta iscritti delle sezioni orientali della città.
La crisi si formalizza a gennaio, con le importanti dimissioni dei fratelli Mirra delle sezioni di Battipaglia e di Eboli. Queste dimissioni pur rappresentando un primo atto ufficiale della crisi del PCI salernitano di quell’anno, con altrettanta evidenza apparivano come il clou di un malessere già presente e che aveva portato alle dimissioni di Amendola. Assieme ai Mirra si dimise dal partito anche un consigliere comunale di Battipaglia, Giuseppe Ferullo, che in occasione del 10° congresso provinciale del gennaio 1969, era stato eletto nella Commissione Federale di Controllo. Tutte queste dimissioni evidentemente preoccuparono Enrico Berlinguer, il quale con una nota apposta proprio alla lettera di dimissione di Ferullo, richiese ulteriori spiegazioni alla Commissione Centrale di Organizzazione. Alla richiesta del segretario nazionale si interessa delle vicende Claudio Verdini, all’epoca vicesegretario della C.C.O., il quale in risposta alla nota fa presente che le dimissioni dei tre esponenti comunisti di Battipaglia conseguono all’inasprimento “..nella lotta politica interna a Battipaglia, a seguito anche di errori e di qualche forzatura da parte dell’attuale gruppo dirigente della sezione del centro cittadino..”.
A quel punto interviene pesantemente Abdon Alinovi segretario regionale, che evidenzia le “carenze di direzione” dimostrate da parte di Bertini, che viene “liquidato” come una persona “lesa nell’equilibrio nervoso”, informa di aver affiancato alla segreteria di Salerno il compagno Perrotta e che ritiene necessario che “..Gomez deve seguire più da vicino la Federazione..”. Ritiene inoltre come sia necessario fare pressione sulla CGIL nazionale, perché “liberino” Amarante dalla direzione della CdL di Salerno, affinché possa così assumere la direzione della segreteria della Federazione di Salerno.

Ubaldo Baldi

PRIMA PARTE : https://www.centoannipci.it/2021/02/01/per-una-storia-del-pci-a-salerno-1-il-lavoro-di-ubaldo-baldi-in-anteprima-per-centoannipci/

SECONDA PARTE : https://www.centoannipci.it/2021/02/15/per-una-storia-del-pci-a-salerno-2-dal-1943-al-1947-dalla-guerra-alla-repubblica-di-ubaldo-baldi/

TERZA PARTE : https://www.centoannipci.it/2021/02/26/per-una-storia-del-pci-a-salerno-3-dal-1947-al-1953-i-difficili-anni-delloccupazione-delle-terre-e-della-smobilitazione-industriale/


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