In questo giorno anniversario della morte di Antonio Gramsci lo vogliamo ricordare attraverso un libro che parla di lui, della sua parte più intima forse nel rapporto con Giulia, Tania, i figli. L’occasione ce la offre questo recente lavoro di Alfonso Annunziata di Scafati, militante della sinistra e Presidente dell’ANPI di quella città.

Di seguito la Prefazione di Gianfranco Nappi

Notti febbrili per l’autore quelle intercorse tra il 16 maggio e il 2 settembre di un anno vicinissimo ma che potrebbe essere stato od essere qualsiasi anno: ciò che importa è quello che si realizza in quel tempo concentrato eppure dilatato a dismisura che rimane come testimonianza di vita vissuta : anzi, meglio, intreccio di vite, di pensieri, di sensazioni, di passioni, di pulsioni vitali.

Intreccio di vite in primo luogo, necessariamente lontane in quel frangente, da qui ancor di più l’esigenza dello strumento epistolare, la mail.

Quella di Alfonso, l’Autore. Uomo di impegno politico appassionato nella sua terra molto spesso crocevia di spinte e tendenze più generali : l’Agro Nocerino-Sarnese con Scafati.

Vera patria del pomodoro pelato e del San Marzano Dop; terra di soprusi politici e di camorra; terra di energie vitali della cultura, di lotte sociali, di organizzazione del lavoro e democratica.

Impegno politico ‘partigiano’il suo : al fianco di coloro che hanno meno potere anche se esprimono le strutture portanti della società, impegno erede di una lunga storia del movimento popolare e operaio, del socialismo e del comunismo italiano, della sinistra per aprire percorsi di emancipazione e liberazione umana.

Questo è il campo dove milita Alfonso.

E in qualche modo esso si trasfonde oggi, cadute le grandi narrazioni e obliati i grandi protagonisti collettivi ( per deliberate scelte soggettive e per incapacità/non-volontà/rassegnazione a cercare, per quanto difficili e impervie,  nuove vie critiche dopo una sconfitta storica. Sconfitta che  ci ha consegnato una realtà nella quale l’ingiustizia appare come nuova ragione del Mondo anche se di fatto assolutamente storico e quindi superabile si tratta ), nella cura  della memoria posta a fondamento della Repubblica e della Democrazia : quella dell’antifascismo, della Resistenza, della Liberazione, dell’Assemblea costituente, della Costituzione, testimoniata dall’ANPI.

Quella di Teresa, costretta alla lontananza in quel frangente, artista, impegnata proprio in una ricerca per dare una forma artistica ad un messaggio legato alla memoria costituente del nostro Paese e, insieme, coinvolta non solo culturalmente ma anche sentimentalmente e affettivamente nel rapporto con Alfonso.

Tutte le mail di Alfonso sono a lei indirizzate e dal libro non conosceremo risposte e reazioni. Conosceremo invece alla fine del lavoro di Alfonso due opere di Teresa, realizzate anni prima tra il 2010 e il 2014, per rappresentare un ‘Manifesto’, grande  blocco di ferro scritto in braille perché, come ci dice l’autrice “ In un mondo ormai cieco è necessario un novo inizio per rompere il muro dell’indifferenza”, e poi, gramscianamente, la seconda opera dedicata a La Città futura.

E poi c’è lui, l’altro protagonista, forse il Protagonista, di questo lavoro : fatto di lettere che rimandano ad altre lettere, pensieri che rimandano ad altri pensieri, sofferenze e speranze che rimandano ad altre sofferenze e speranze , totali nel caso di Antonio Gramsci.

E allora, eccolo che si dipana l‘ordito di Alfonso.

Egli torna a Gramsci, quel Gramsci alla base anche della scelta di impegno e di militanza fin dalla sua gioventù, un riferimento per intere generazioni. E si lascia ‘travolgere’ dal suo dramma e così, quasi in un gioco di specchi, rilegge i suoi sentimenti, le sue speranze, le sue angosce attraverso quelle provate e raccontate da Gramsci nelle sue Lettere dal Carcere.

E così si lascia guidare, e propone a Teresa di lasciarsi guidare, dalla tragica grandezza della vicenda gramsciana : in carcere, separato dal suo partito, separato dai suoi affetti, da quelli della moglie, del figlio Delio, del secondogenito  Giuliano che non conoscerà mai, dagli affetti della sua famiglia, della madre a cui continuerà a scrivere pur dopo la  morte che non si ebbe il coraggio di comunicargli.

E poi, la volontà di non piegarsi in alcun modo ad un potere, quello fascista, che lo ha incatenato, insieme a tutto il paese, e che ne segnerà la morte e che intanto lo vorrebbe arrendevole

…Io non ho nessuna intenzione di inginocchiarmi dinanzi a chicchessia, né di mutare di una linea la mia condotta….Lo sapevo da un pezzo che cosa poteva succedermi. La realtà mi ha confermato nella mia risoluzione…

E poi la febbrile attività di elaborazione politica e intellettuale che  porta avanti, cosciente di muoversi su sentieri irti di difficoltà e pericolosi di fronte al formarsi di un potere ossificato che egli avverte crescere nell’Urss di Stalin: lui che ha perfino inviato, subito prima dell’arresto, nel 1926, una lettera a nome dell’Esecutivo del Pcd’I all’Esecutivo del Partito Bolscevico che aveva fatto la rivoluzione in Russia, mettendo in guardia la maggioranza di quel partito dallo stravincere nella lotta politica interna, dallo spingere su una rottura che avrebbe determinato conseguenze nefaste in tutto il movimento a livello internazionale oltreché in quello stesso paese.

Quella lettera non sarà mai formalmente consegnata da Togliatti ai destinatari.

Ma lui non ci sta, e non rinuncia a lavorare ai fondamenti di un’altra possibile traiettoria per un pensiero rivoluzionario.

Lui che ha avuto l’ardire di polemizzare su parole d’ordine politiche che venivano da quel ‘centro’ sulla scorta di una analisi diversa che andava conducendo e su cui poi si realizzerà il capolavoro togliattiano che proprio quella analisi, per tanti versi eretica, molecolarmente eretica si potrebbe dire, porrà a fondamento dell’identità e del radicamento del PCI dopo la Seconda guerra mondiale facendone uno dei protagonisti della Costituente e della Repubblica democratica.

E quelle analisi, dopo la stagione dei Consigli, de La Città Futura, dell’Ordine Nuovo, del Congresso di Lione, si sviluppano e si consolidano proprio nel carcere dove niente riesce a impedire al cervello di Gramsci di continuare a pensare: i Quaderni dal carcere, scritti e rivisti tra il 1929 e il 1935 fin quasi, ormai prostrato e vinto nel fisico, alla fine,

…in questo tempo di ferro e di fuoco, nel quale viviamo…

come ha modo di scrivere all’amata madre nel 1927.

E’ straordinario così questo incrocio di piani, di rimandi nel corso dei quali Alfonso accompagna Teresa in una rilettura e in una riflessione sull’universo gramsciano che contiene una sovrabbondanza di temi e spunti che parlano alla sensibilità di oggi. Ancora.

Le Lettere e attraverso di esse anche i riferimenti ai Quaderni , e poi gli alti e i bassi di una condizione di reclusione, di speranze di svolte e di repentine cadute di fiducia, di dolcezza verso i figli e la moglie e di sospetti di abbandono.

In questa raccolta dalle Lettere che Alfonso ha selezionato per Teresa e che sera dopo sera le invia via mail e con i suoi sentimenti in controluce che appaiono però in modo evidente,si realizza in qualche modo proprio quella condizione che Gramsci aveva descritto in una delle sue lettere a quella Tatiana, sorella di Giulia che, insieme a Piero Sraffa, rappresenterà il suo contatto fondamentale con il mondo durante la lunga prigionia

…Anche le questioni sentimentali mi si presentano, le vivo, in combinazione con altri elementi ( ideologici, filosofici, politici,ecc.), così che non saprei dire fin dove arriva il sentimento e dove incomincia invece uno degli altri elementi, non saprei dire forse neppure di quale di tutti questi elementi precisamente si tratti tanto essi sono unificati in un tutto inscindibile e una vita unica…

A me pare che in queste poche righe ci sia anche il senso più profondo, e per me più bello, di questo lavoro di Alfonso che ci introduce in un vissuto nel quale davvero, come nella vita di ciascuno di noi, tutto si tiene, tutto si alimenta e tutto concorre a definire ciò che siamo per noi stessi e per gli altri e di cui proprio la relazione con gli altri è parte costitutiva.

Alfonso coglie anche un altro aspetto della questione sollecitato in questo sempre da Gramsci a proposito del prezzo che si paga per una pratica della militanza politica assorbente e totalizzante anche della vita

…Quando si è legata la propria vita a un fine e si concentra in questo tutta la somma delle proprie energie e tutta la volontà, non è immancabile che alcune o molte o sia pure una sola delle partite individuali rimanga scoperta? Non sempre ci si pensa e perciò ad un certo punto si paga…

Antonio Gramsci è espressione di un pensiero maturato con e dentro una sconfitta di portata storica, da cui si sono generati Fascismo e Nazismo, Seconda guerra mondiale.

Egli riflette su questa sconfitta, cerca di ricostruirne le coordinate fondamentali ed elabora gli elementi di una teoria per fondare su basi nuove una prospettiva diversa, alternativa.

E lo fa con una convinzione di fondo

…Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio…

C’è una grande lezione in questa semplice frase.

Mi chiedo se sia un caso che alcune vette, assolute, del pensiero moderno  siano venute proprio dai pensatori nella sconfitta come nel caso di Gramsci, ma, prima di lui, di Giordano Bruno, di Niccolò Machiavelli.

E in tutti questi, biografia e elaborazione, pensiero e vita si intrecciano, si condizionano reciprocamente sì da rendere   difficile il darsi conto dell’uno staccato dall’altro.

Gramsci contribuì, con il suo esempio e con il suo pensiero, al farsi dell’Italia della Resistenza, della Liberazione, della Costituzione, della Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Chi avrebbe potuto immaginare, negli anni più duri della dittatura e della guerra che avrebbe potuto essere possibile? Chi non avrebbe considerato folle il pensarlo?

Eppure tutto ciò fu reso possibile anche da tutti quelli che, nella sconfitta, non rinunciarono a progettare un’Italia nuova.

Per questo anche ci parlano ancora.

Proprio per le caratteristiche di maturazione di questo pensiero esso in questi nostri tempi anzi ci appare ancora, se possibile, più vicino. Ce ne sentiamo ancor più interrogati e lo interroghiamo con trasporto.

Non a caso si ritrova nel libro anche una vivida testimonianza di Pier Paolo Pasolini.

Ecco un’altra chiave per questo lavoro di Alfonso.

Anche noi veniamo da una sconfitta, da essa ho preso le mosse.

E allora, così come ci è voluta una Pandemia per rimettere in ordine giusto, con le sue innumerevoli sofferenze, il senso delle priorità che valgono ( il lavoro, la solidarietà, la cura degli altri, il bene pubblico, la salvezza individuale che passa attraverso la salvezza collettiva al posto dell’apparenza, dell’esibizione del lusso e della ricchezza…), riandando al fondamento del nostro stare insieme possiamo immaginare, perché no, che dopo la sconfitta possa venire una rinascita: crederci, non smettere di contarci, lavorarci nei mille modi in cui è possibile è la cosa più sensata che possiamo fare.

Una Città futura che non a caso è anche, come abbiamo visto, la seconda opera d’arte che Teresa ci consegna.

Come insegnava Machiavelli, è nei momenti di crisi che per superarli, occorre

ritrarsi ai principi

espressione che trovo bellissima : riportarsi lì dove hanno avuto origine le cose che ti interessano, muoversi di nuovo dal principio, dai fondamenti, dai principi ispiratori e lì trovare nuova linfa per guardare al tuo presente e cambiarlo.

E se parliamo di società e di democrazia, questi principi si ritrovano proprio in tutto ciò che ha ispirato , preparato e costruito la Costituzione.

E c’è anche Gramsci lì dentro. E tante altre e tanti altri come lui.

E se parliamo di società e di democrazia parliamo di uomini e di donne, parliamo della storia di tutti gli uomini e di tutte le donne, per usare le parole dolci e struggenti che Gramsci scrive al figlio Delio in una delle ultime lettere prima della fine

…Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non  può non piacerti più di ogni altra cosa…

Gianfranco Nappi

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