DA IL QUOTIDIANO DEL SUD-EDIZIONE DI SALERNO

di Angelo Verrillo

Le riunioni e i viaggi con Rocco

La recente scomparsa di Rocco Di Blasi ha suscitato tantissima emozione, oltre  ad una vera e propria ondata di ricordi, testimonianze di affetto e di stima per l’uomo e lo straordinario giornalista.

Ho deciso di scriverne ancora, perché di lui conservo ricordi più antichi, di quando, poco più che ragazzi, cominciammo a frequentarci dopo aver scoperto la comune passione per la carta stampata, per poi continuare nella comune militanza nella sinistra salernitana.

Il nostro rapporto ebbe inizio negli ultimi anni sessanta del secolo scorso. Già allora militavo nella FGCI anzi, facevo parte della Segreteria Provinciale con Peppe Colasante, Fernando Argentino, Renato Peduto e Gerardina Adinolfi (una giovane compagna di Roccapiemonte). Quando seppi che Ennio Simeone stava organizzando un corso breve per ragazzi che ambivano a collaborare con la redazione napoletana de L’Unità, decisi di parteciparvi. Il seminario si tenne a Vico Equense, durò tre giorni e, a conclusione dei lavori, ad ognuno dei partecipanti venne rilasciato un cartoncino che attestava la nostra qualifica di collaboratore de L’Unità dai vari comuni di provenienza.

Ovviamente, tornai a casa molto orgoglioso e subito cominciai pensare a come darmi da fare per “diventare giornalista”.  Dopo qualche giorno, a scuola, proposi agli amici più cari di pubblicare un nostro giornale e, dopo qualche mese, uscì “La Rivolta dei Giovani” periodico dell’Istituto Tecnico R. Pucci di Nocera Inferiore.

Era il 1968 ed a Nocera già era uscito un altro giornale studentesco: si chiamava TOP, era nato al Liceo Vico e a dirigerlo c’era Rocco Di Blasi, che io già avevo cominciato a frequentare da qualche tempo. Ovviamente, il giornale del Ragioneria rimase un numero unico ed io presi a frequentare la redazione di Rocco.

Nel frattempo, il TOP aveva trovato anche una sede: la redazione si riuniva nei locali del Centro Servizi Culturali (ISPES) al Prolungamento Garibaldi di Nocera, era frequentata da decine di ragazzi e divenne ben presto un luogo di discussioni su tutto ciò che avveniva a Nocera, a Salerno e nel mondo. Oltre al giornale, si faceva tanto altro: si cantava insieme, accompagnati dalla chitarra di Raffaele D’Agosto, ci si cimentava in sfide di Ping Pong, che spesso riproponevano piccoli derby tra nocerini e paganesi, d’estate organizzavamo corsi di recupero per ragazzi delle scuole medie.

Vivevamo e respiravamo quel clima con tutto l’entusiasmo di cui eravamo capaci. Sempre in quell’anno, al Teatro Augusteo di Salerno, fu presentata la lista del PCI per le elezioni politiche. Fu in quella occasione che conobbi Elio Barba. un altro giovane dell’agro. Proveniva dalle file della sinistra socialista, era stato a Roma e veniva dalla Sicilia, dove aveva lavorato a l’Ora di Palermo. Aveva la famiglia ad Angri ed era candidato in quella lista. Dopo qualche settimana andai a S. Egidio del Monte Albino, dove si tenne  un suo comizio e conobbi anche Anna Maria, la moglie di Elio, già in attesa della figlia Caterina, che nacque qualche mese dopo.  

Dopo l’invasione della Cecoslovacchia, ci furono riunioni molto accese e Rocco pensò che se ne dovesse scrivere e, per farlo, decise di intervistarmi. Avevo molto apprezzato il fatto che Longo, che aveva già incontrato una delegazioni di giovani del movimento studentesco, avesse preso il coraggio a due mani condannando apertamente quell’intervento e feci notare che l’intervento armata contraddiceva anche la linea, uscita dal XX Congresso del PCUS, che dichiarava legittime le diverse vie al socialismo e, ad un certo punto, dissi “no, la Russia non è un paradiso”. Quando uscì il numero del giornale scoprii che Rocco aveva titolato il pezzo con quella frase e che, come al solito, aveva colpito nel segno perché quel titolo fu sufficiente a rasserenare il clima delle successive riunioni di redazione.

Nel frattempo, le elezioni politiche, che erano andate molto bene, aprirono una crisi nella Federazione Salernitana del PCI. Era avvenuto, infatti, che fossero stati eletti tre parlamentari salernitani (Amendola, Di Marino e Biamonte) e che questo risultato aveva precluso l’elezione di un deputato di Benevento. Si aprì un periodo di aspre contrapposizioni che durò diversi mesi e che portò alle dimissioni da parlamentare di Pietro Amendola.

L’anno dopo, Rocco mi chiese la tessera del PCI e decise di prendere contatti con i vari giornali studenteschi che si erano diffusi in diverse parti del paese. Oggi sembrerà banale ma, con i mezzi a disposizione  in quel tempo, non fu affatto un’impresa facile. Ci vollero mesi di lavoro, centinaia di telefonate e migliaia di gettoni telefonici, anche se, quando ci veniva concesso, usavamo il telefono dell’Ispes. Alla fine, ci rendemmo conto di avere intessuto rapporti con diverse decine di giornali giovanili e a Rocco venne in mente di andare a vederne alcuni da vicino.

Rocco, però, non guidava e, nonostante diversi tentativi, non aveva mai conseguito la patente di guida. Non furono sufficienti le lezioni che gli davamo a turno e per quanto sollecitato, negli anni successivi, dal Partito e dal giornale, lui viaggiava solo con i mezzi pubblici, a meno che qualcuno di noi non gli facesse da autista. Per lo stesso motivo, spesso andavamo al cinema o a cena a Salerno, per fare in modo che a fine serata potessimo più facilmente riportarlo a casa.

A Padova andò in compagnia di Lorenzo Guarnaccia, nel mentre, qualche tempo dopo, io andai con lui a Mola di Bari. Dopo questi e altri incontri, prese corpo l’idea di costruire un collegamento permanente tra queste testate e si pensò anche al nome  della cosa: si doveva chiamare ASGI (Associazione Stampa Giovanile Italiana) e doveva nascere con il patrocinio dell’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana). Per l’atto di nascita fu indetta una sorta di assemblea fondante che fu convocata a Ladispoli, sul litorale romano.

Furono tre giorni, e tre notti, di riunioni e discussioni per un verso entusiasmanti e per l’altro snervanti tra i rappresentanti di circa 300 testate giovanili. Emersero contrasti insanabili tra posizioni estremistiche ed altre più disponibili al civile confronto democratico, specchio fedele delle profondi lacerazioni che attraversavano la società e la politica di allora. Alla fine, dopo aver sfiorato più volte lo scontro fisico, non se ne fece più niente e tornammo a casa dovendo prendere atto di un fallimento.

Nel 1970, nonostante questa miriade di impegni, Rocco arrivò a laurearsi brillantemente in filosofia, dopo poco più di tre anni, all’università Federico II. Alle elezioni amministrative fummo entrambi candidati ed eletti, io al Comune di Nocera e lui in quello di Pagani, insieme a Fernando Argentino.  

Voleva trovare presto lavoro e si mise a vedere gli annunci dei concorsi pubblici. Dopo qualche settimana, mi disse di essere interessato ad un concorso del FORMEZ e che doveva andare a Roma per fare la domanda. Ovviamente, mi offrii di accompagnarlo e così il giorno dopo andammo nella capitale ma, quando lesse il questionario da riempire, decise che sarebbe ritornato per la presentazione della domanda. In macchina, mentre tornavamo, gli chiesi perché non avesse consegnato la domanda e lui mi rispose che, tra i requisiti richiesti, c’era anche la conoscenza di una lingua straniera, che di li a poco sarebbe partito per la Scozia e che al ritorno avrebbe potuto scrivere di conoscere l’inglese.  Andò proprio così: al ritorno presentò la domanda, fece il concorso e, come avevo previsto, risultò tra i primissimi vincitori.

Ero orgoglioso e felice del successo del mio amico ma sentivo il dovere di informare il Partito della sua prossima partenza e ne parlai sia con Peppino Amarante che con Elio Barba, che allora dirigeva l’Alleanza Contadina. Elio mi diede subito la disponibilità ad assumere Rocco, pur consapevole di potergli offrire uno stipendio ben più modesto di quello del FORMEZ. Il giorno dopo, passai la mattinata in sua compagnia e pensai a lungo prima di informarlo della proposta di Elio: temevo di metterlo in difficoltà e non riuscivo a trovare le parole giuste. Alla fine, feci prevalere il mio senso del dovere, oltre al timore che, in futuro, Rocco avrebbe potuto rinfacciarmi di non avergli parlato  di quella possibilità: che diritto avevo di scegliere al posto suo?

Lo accompagnai alla fermata della filovia, nei pressi del casello autostradale di Nocera e mi decisi a comunicargli la proposta di diventare funzionario dell’Alleanza Contadina, anche perché pensai che l’improvviso sopraggiungere del bus avesse potuto decidere al posto mio. Cominciai ad aggiungere che doveva sentirsi libero di decidere per il meglio e che c’era ancora tempo per decidere, per pensarci qualche giorno. Rocco non mi fece finire, interruppe il discorsetto che mi ero preparato, si illuminò in un sorriso e mi disse: “non ho bisogno di pensarci, andiamo da Elio e decidiamo quando comincio a lavorare con lui”.

Fu così che anche il mio amico fraterno divenne un “rivoluzionario di professione”, come venivano definiti allora i funzionari del partito. L’Alleanza Contadina aveva un passato glorioso, era stata anche diretta, in anni precedenti, da Pino Lanocita ed aveva organizzato lotte memorabili contro gli agrari della Piana del Sele.

Con la direzione di Elio Barba, l’Alleanza spostò la sua attenzione all’agro nocerino dove, a causa della estrema frammentazione della proprietà agricola, non si era mai riusciti a costruire una forte organizzazione tra i contadini. Cominciarono le lotte per il prezzo del pomodoro e si diede vita a decine di scioperi, manifestazioni ed anche blocchi stradali. Nell’organizzazione, dove lavoravano anche Diego Mele e la moglie Angela, arrivarono oltre a Rocco anche Carlo Vitaliano, Franco Siani e, qualche anno dopo, anche Vincenzo De Luca.

Il periodo che Rocco passò in Inghilterra, io lo trascorsi a Frattocchie, alla scuola di partito. Un giorno fui convocato in direzione e Aida Tiso mi comunicò che da Salerno avevano richiesto il mio immediato ritorno. Era avvenuto che gli scontri interni erano sfociati in una profonda lacerazione e con l’occupazione di due Sezioni di Salerno da parte di una frazione scissionista. Alinovi ed Amarante temevano che la fronda potesse allargarsi ad altre zone della provincia ed io rientrai il giorno dopo. Si aprì una battaglia politica interna che durò diversi mesi e nella quale perdemmo anche compagni con i quali avevamo stabilito rapporti umani molto profondi.

In quelle aspre battaglie interne Rocco non veniva mai pienamente coinvolto. Veniva tutelato e protetto dal suo carattere mite, dalla sua innata gentilezza e dalla sua non comune educazione, qualità ereditate da una donna straordinaria: la madre Silvia. Per questo ha potuto attraversare la vita sempre circondato da urlatori, lui che amava le canzoni a fil di voce, come era de maggio, nella versione di Roberto Murolo e come cantavamo insieme accompagnati dalla chitarra di Raffele.

Scusa il fastidio Rocco e fai buon viaggio.

Angelo Verrillo

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