Il 25 aprile 1968 l’Unità pubblica in pagina nazionale un reportage della sua inviata, Maria Antonietta Macciocchi, sul Ventre di Napoli. La giornalista e scrittrice sarà eletta da lì a qualche giorno deputato del PCI proprio nel collegio di Napoli. Ricca la vicenda umana, politica e intellettuale di Maria Antonietta Macciocchi che pure merita di essere ricordata.

Dove l’Europa tocca i record più alti di affollamento e di mortalità
NEL «VENTRE» DI NAPOLI


Finte casalinghe sfruttate da padroni sconosciuti – Un abitante ogni metro quadrato – 2500 neonati muoiono ogni anno – L’incubo dei crolli a quota 43 – Bimbi al lavoro invece che a scuola – La venditrice di figli e la cucitrice cieca- Arrivano la politica «quello con la macchia bianca» – Città a due dimensioni


Dal nostro inviato
Napoli, 25 aprile 1968


Il «ventre di Napoli» è come Harlem a New York e Napoli non è New York. Bisogna percorrerlo tutto per curarlo budello per budello nella rete fetida delle straduncole, negli intestini, nelle viottole sconnesse che salgono, scendono nell’interno dei bassi dove gli uomini e i topi si contendono lo spazio, bisogna girare attorno a trincee dette barbacani supporti in tufo creati per sorreggere l’un l’altro i palazzi cadenti ,sono diventati così definitivi che gli ambulanti vi appendono la loro bottega, bisogna penetrare nella nuvola di fango e di creolina che avvolge i vicoli come l’incenso le chiese e restarvi a discutere dei problemi della vita con le popolane sfiancate dalla maternità
Da venti giorni vi vivo sprofondata dentro, percorrendo i quartieri di stella di avvocata di montecalvario di borgo di forcella di pendino
Vera Tiniello che paga per il suo basso a Vico Cariati 7500 lire mi mostra che i topi abitano la parte più asciutta, il soffitto, e di là piombano sul letto
Ho riappreso cos’é il valore non di 1000 ma di 40 lire, quante ne guadagna una donna in un vicolo dietro Piazza San Ferdinando Maria Gagliotta per cucire la stoffa sulle stecche 12 ombrelli
Il valore di 10 lire ne guadagna una guantaia di Borgo, Anna Astuto per cucire su una mano elettrica – una vera macchina – un paio di guanti made in Italy in vendita sugli Champs Élysées e a Old Bond Street. Ho conosciuto centinaia di finte casalinghe che sono in realtà operaie a sottosalario ma senza sindacati e che ignorano perfino di avere un padrone perché l’industria che le sfrutta al vertice è senza volto, senza identità precisa, il padrone diretto è un altro lavoratore, un intermediario compagno di sventura che ha la casa o il magazzino nello stesso vicolo e che impiega, per amicizia, anche i figli decenni delle donne. Per ottenere l’assistenza provvidenziale o la pensione le operaie sottoproletarie, si iscrivono come domestiche a carico di una parente e pagano loro stesse le marche della previdenza. Sono le povere astuzie della delle donne napoletane contro il governo
Nei bassi lo spazio che è casa, officina, spaccio di dolciumi o di generi alimentari é cosi angusto che si nasce e si muore insieme, la tazza del water closet, con una pudica tendina a fiori che da circonda sta giusto a fianco del fornello con 1a pentola e il pavimento è fatto di “basoli” le stesse pietre che lastricano le strade sconnesse a precipizio; la luce vi entra con la notte quando accendono le lampade


SCENE DI DISPERAZIONE
L’indice dl affollamento a Napoli è il più elevato d’Europa: a Vicaria, vi sono 6.760 abitanti per ettaro, al quartiere Stella, le statistiche danno un minimo dl 1,84 abitanti su 1,22 metri quadrati, fino ad un massimo di 2,83 abitanti, su 2,88 metri quadrati. Le donne figliano nel tanfo del vicoli quasi senza assistenza: Napoli vanta la più alta natalità in Italia, con 100 nati al giorno, una percentuale quasi doppia della media nazionale. Al tempo stesso la mortalità tocca il record dl 71 bambini morti su ogni 1000 nati; ogni anno, 2,500 piccoli napoletani passano direttamente dalla culla alla bara
Le case sinistrate e per cui gli abitanti hanno avuto ordine di sfratto dalla questura sono 462 fabbricati, per 69000 persone complessive. Solo nel Vico Lepre a Montecalvario, vi sono 80 famiglie su cui crollo già diagnosticato dagli esperti, è sospeso ad un filo, In compenso, ricevono un sussidio per sinistrati di L. 10000 al mese dal Comune, che diventa spesso unica fonte di reddito stabile In questa stessa situazione si trovano altre 451 famiglie sinistrate per le il diritto al sussidio interviene solo perché il reddito familiare interviene solo perché il reddito familiare è inferiore alle 55000 lire mensili! Ogni tre mesi la Questura controlla se le entrate restano sotto quota 50, e ho assistito io stessa al Comune a scene di disperazione perché la polizia denunzia al comune che la famiglia ha un nuovo introito o nuovi simboli di «benessere» e il comune sopprime il « sussidio». In un caso ad esempio, è stato denunciato che la famiglia aveva il telefono che poi risultò un giocattolo per i bambini. I senzatetto o quelli che abitano in alloggi di fortuna baracche etc sono circa 3000, per un totale di 600 famiglie; tra queste vi sono quelle che furono ricoverate in albergo (leggi locande di infimo grado) e che, da 16 anni una «chambre d’hotel», in 8 o 10 persone. Per completare il quadro, si aggiunga che a Napoli esistono 3673 famiglie – 18000 persone – non sfrattate, ma su ma sulle cui case pesa l’ingiunzione del Comune ai proprietari di ripararle.
I palazzi da cui gli abitanti sono fuggiti – come quello che ho visto al vico Noce – crollato nel 1963 – stanno in piedi come preziosi reperti archeologici stretti da tutti i lati da sostegni. Al vico III Politi sulle fondamenta dell’ex Palazzo Cilento, crollato nel 1958, vedo che i ragazzini si sono costruiti una palestra, tra i ruderi nei quali si aprono nuove falle. Il giorno in cui sono arrivata a Napoli ho letto che si era aperta la 42esima voragine in un anno, questa volta a Fuorigrotta. qualche giorno dopo si è spalancata la 43esima. Titolo sui giornali ad una colonna. A tutto ci si abitua.
Appena possibile le famiglie con un piccolo reddito o che riescono ad avere un assegnazione dell’INA CASA, abbandonano Il «ventre» della città per andare ad abitare nel paravento pietrificato costruito intorno a Napoli dai grandi speculatori dell’edilizia. Ma i fitti o il riscatto hanno costi così sproporzionati ai redditi che spesso il proprietario ottenuta la casa dell’INA (32000 lire al mese per il riscatto) l’abbandona ad altri guadagnandoci qualche cosa, e torna nel basso da cui è partito. E’ un infernale circolo vizioso; per spaccarlo un solo mezzo: l’occupazione stabile, il lavoro.
A Napoli ,tranne un’infima minoranza, i bambini non finiscono nemmeno le elementari: a 10, 12 anni – e a quell’età sono appena alla terza elementare – diventano sostegno di famiglia. vi presento Antonietta Di Mauro seduta sul gradino del suo basso, in Vico Politi, madre di 9 figli, 33 anni, marito calzolaio. Sei ragazzini, il più piccolo a 4 mesi, le stanno arrampicati addosso, su un corpo gracile che sembra quello di una ragazza linfatica. i tre «grandi» lavorano -quelli di 13 e di 12 anni stanno dallo «scarparo» e portano a casa 1500 lire la settimana ognuno, quello di 9 sta dal «cantiniere» a 500 lire la settimana. Andiamo a poche decine di metri dal basso, a visitare il suo bambino, piccolo come un sorcio, che mette con scrupolo le scarpe nelle scatole, poi si arrampica su uno su una scaletta e scompare nel soppalco con una pila di scatole in bilico nelle braccine come sterpi. La madre posa sul figlio un lungo sguardo d’amore e se ne va, senza parlargli perché il lavoro è il lavoro
Da Biele Vincenzo, il calzolaio in questa «corte dei miracoli» che sono i vicoli Politi, troviamo altri quattro ragazzi, nipoti e figli dello «scarparo» dagli 8 ai 10 anni, che cuciono tomaie «hanno fatto dice Biele, fino alla terza, non è vero che la scuola non costa niente e un’altra menzogna. Per le medie, il mio cugino ha fatto un calcolo occorrono 200 lire l’anno. sono un povero diavolo Ma se avessi potuto avrei dato una sistemazione ai miei figli punto per sopravvivere, invece li ho dovuti mettere a lavorare con me». Ed ecco avanzare – spinta avanti dalle vicine-una donna al lutto, Giuseppina Romano, 34 anni, 10 figli, il più piccolo dei quali ha 4 mesi, il più grande 16 anni; suo marito, operaio al comune, è morto a 36 anni, qualche mese fa punto “posso darvi due o tre bambini?” . Mi chiede. Ed è la domanda affannosa anelante che rivolge a tutti, come se volesse piazzare una merce. Quello di 4 mesi è stato preso da una famiglia del Vico che non ha figli. I proletari si aiutano tra loro come in un in un organizzazione comunitaria.


CATENA DI “INTERMEDIARI “
Poi vi è l’orrore, il decadimento disperato, dei vecchi senza pensione: Maria Ravo, tutto un ammasso di cenci neri, vive vendendo dolciumi, mentine, dentro uno scatolone di legno coperto, per igiene, da un vetro tutto incrostato dalle mosche. I suoi clienti sono i ragazzini-operai
Al Vico II Politi tutti in infila sull’orlo del basso per suggere la luce del giorno senza consumare l’elettricità stanno tre pantalonaie: lavoro tutto a mano, tre ore di lavoro per 500 lire a pantalone, venduti nei grandi magazzini a 6000 lire. Il «mastro», vale a dire l’intermediario «è un amico», insistono le donne e non vogliono darmene il nome. Lui rivende a 750 lire ogni pantalone. Si comprende che per arrivare al grande magazzino Export mondiale c’è una lunga catena di intermediari. Ci accorgiamo che la donna che occupa la prima fila è semicieca. Non riesce ad infilare l’ago. Anna Bocchetto, segretaria della Sezione Centro del PCI lo fa per lei. La donna ci svela come un segreto (è Nubile, haa 45 anni) che desidera un paio di occhiali da quando lavora, ma non ha mai avuto i soldi per comprarli.
Il quartiere pure in questo caso di disperazione è combattivo: le donne vengono fuori con le camicette rosse, a salutarci. Vogliono capire, disperatamente capire, come correggere la maledetta “sorte” che le schiaccia. Trasferiamoci al Vico Cavaioli (Stella), chiuso a monte da un palazzo sbilenco e fiancheggiato da casa di digradanti che sprofondano verso il centro della città: scenario brechtiano. 50 ragazzini e 5 donne davanti allo schermo bianco appeso al palazzo, su cui i compagni proiettano un film sulla NATO. Le altre stanno affacciate in finestra, e mandano giù il paniere per farsi mettere il foglio di propaganda. Le donne guardano attente le bombe piovono su Hanoi, i Marines sfilano Armati fino ai denti e mi chiedono incuriosite: «signò sono i tedeschi? »« sono gli americani?». Rispondo. Non si fidano. Allora aggiungo: «gli americani fanno la guerra contro il Vietnam, rovesciano quintali di bombe». «Davvero c’è la guerra?» chiede un’altra voce allarmata. Chiama l’altra a gran voce «Nannì la signora dice che c’è la guerra. Mamma mia, io non sapevo che c’era la guerra» credono che la guerra sia qui, come nel 42-43. spiego non qui ma nel Vietnam. Inutile, completamente inutile. Vietnam è una parola senza senso. I giornalisti e gli scrittori sudocrati fanno intanto statistiche sulle antenne della TV nei bassi per sottolineare che a Napoli siamo in un altro universo. A parte il fatto che le donne con cui parlo non hanno TV, esse mi spiegano che quando arriva la politica e quello con la macchia bianca (Moro) la gente in genere spegne il video
A Sant’Antonio ai Monti una vecchia tutta ossa mi bisbiglia all’orecchio una domanda «a che mi dà diritto il foglio che mi avete lasciato?» . Pensa ai «buoni » di Lauro per la colomba pasquale, agli spaghetti, ai sussidi che democristiani e socialisti vanno elargendo nei vicoli seguendo il vecchio schema : il popolo deve avere la sensazione che una campagna elettorale è l’occasione di una supplementare festa di Piedigrotta a spese dei partiti. «Noi non diamo niente» le rispondo «noi rappresentiamo l’avvenire dei lavoratori». Le altre capiscono, ma la vecchia donna invece fa il viso lungo della delusione. Per la classe dirigente borbonica che governa Napoli, le elezioni si fanno non illustrando i programmi ma, ancora e sempre, comperando i voti.
Questa è la dimensione del «ventre» – vi è poi un’altra dimensione di Napoli: il movimento operaio , le industrie, le lotte sindacali, le Università occupate, e lo scontro politico, che ha in questa battaglia elettorale il suo momento decisivo.
Maria A. Macciocchi

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1 commento

  1. Mi chiedo come sia possibile che chi ha scritto un articolo così drammatico abbia poi potuto rinnegare le sue idee, il suo partito e diventare una donna di destra, una nemica del PCI.

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